6.0
- Band: RELICS OF HUMANITY
- Durata: 00:32:33
- Disponibile dal: 31/01/2025
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Avevamo lasciato i Relics Of Humanity nel 2019, pieni di buoni giudizi e feconde speranze in seguito alla pubblicazione dell’ottimo “Obscuration”, un promettente dischetto di pochi minuti che andava a rompere un silenzio discografico importante a seguito del rinomato “Ominously Reigning Upon The Intangible” e del primo “Guided By The Soulless Call”.
In quel caso, avevamo apprezzato soprattutto la capacità della band di muoversi con intelligenza ed innovazione tra le maglie del death metal estremo, inserendo delle parti atmosferiche di grande presa che, non a caso, vengono oggi riprese e sviluppate all’ennesima potenza. I pochi minuti introduttivi di “Omen Apollyon” del resto, segnano indelebilmente la misura stilistica che il gruppo andrà ad operare per tutta la durata di “Absolute Dismal Domain”: un opprimente sentore di malvagità e scurezza avviluppa da subito la scena, grazie in primo luogo a dei ritmi particolarmente lenti per il genere, uno stile vocale ultra-gutturale e dei minacciosi soundscape in secondo piano, capaci però il sentore di malignità che i bielorussi hanno esplicitamente cercato ed evocato.
Le copiose cascate di blast-beat del passato lasciano oggi spazio ad un songwriting assolutamente più semplice, lento e lineare, relegando i tempi più veloci a sporadici momenti di intervallo all’interno delle canzoni. Il grosso del full infatti, si stampa a metà tra beat lenti e mediani, sconvolgendo in gran parte le dinamiche che animavano la band fino ad oggi. “Summoning Of Those Who Absorbed”, “In The Name Of Ubiquitous Gloom” e “Smoldering Of Seraphim” contengono sì al loro interno qualche sfuriata in memoria dei vecchi tempi, ma è palese la scelta di abbandonare partiture più frenetiche ed intricate in favore di una resa più semplice e, purtroppo, molto più piatta.
Tolto il merito di aver dato vita ad un lavoro di atmospheric brutal death (?) innovativo nelle intenzioni, si rimane interdetti dalla poca profondità e scarsa varietà con cui le canzoni vengono strutturate, finendo per assomigliarsi un po’ tutte e frenando l’entusiasmo generale per un’eccessiva indulgenza nell’utilizzo di riff lenti e semplici e linee vocali prevedibili.
Ad affossare definitivamente “Absolute Dismal Domain” ci pensa poi un mixing generale pietoso, per niente organico e con suoni di chitarra e batteria semplicemente inaccettabili per un prodotto del genere: non ha senso richiamare il sound dei primi Suffocation in un album che punta invece sull’innovazione e l’espansione del genere, finendo per appiattire ulteriormente le poche dinamiche che si incontrano durante l’ascolto.
La sufficienza viene garantita ai Relics Of Humanity grazie alla portata innovativa di questo lavoro, così inquietante ed oscuro, ma non basta un concetto interessante per rendere vincente una proposta così grossolana ed approssimativa, sia nei suoni che nella scrittura.