5.0
- Band: RESUMED
- Durata: 00:41:18
- Disponibile dal: 01/12/2014
- Etichetta:
- Bakerteam Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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Che band formidabile erano i Death! E che musicista incredibile era il loro chitarrista fondatore, nonché vocalist Chuck “Evil” Schuldiner, un uomo in grado ancora oggi, a più di dieci anni dalla sua scomparsa, di influenzare nuove band in maniera così palese, come se lui e il suo gruppo fossero ancora sulla cresta dell’onda. Già perché il bello della grande musica è che non muore mai e se anche le mode passano, i grandi dischi rimangono nella mente nei cuori e risuonano eternamente nei timpani degli appassionati. Devono concordare con tali affermazioni anche gli abruzzesi Resumed che, a sentire il loro album di debutto, devono essere cresciuti a pane e “Individual Thought Patters”. Se nulla abbiamo ovviamente da eccepire agli ascolti ed alle influenze che subiscono per forza di cosa i singoli strumentisti quando decidono di fondare un gruppo, qualcosa da ridire invece l’avremmo circa l’attitudine con la quale questi ragazzi si sono presi la briga di scrivere un disco come “Alienation” che, senza stare a fare troppi giri di parole, pare veramente un album di cover riarrangiate un po’ alla meno peggio e buttate lì senza farsi troppe domande quali ad esempio “ma non saremo troppo simili ai Death?”. In questo disco non solo la tanto ricercata ed agognata personalità non è nemmeno passata a fare un saluto veloce, ma si sentono certi passaggi che sono più di un omaggio alla band di Schuldiner, parliamo di vere e proprie scopiazzature e questo non crediamo sia tollerabile in alcun modo. Non crediamo nemmeno che valga la pena di soffermarsi sul songwriting dato che le strutture dei brani sono identiche a un qualsiasi brano dei Death (ascoltare “Predicting The Future” e “Spirit Crusher” nel caso in cui qualcuno avesse dei dubbi), o degli assoli che vorrebbero essere evocativi ma sono per lo più incerti e dissonanti (nell’accezione negativa del termine), oltre che essere piazzati parrebbe alla rinfusa in mezzo ai brani così come i cambi di tempo, di atmosfera o certe interferenze jazzate. L’unica cosa che ci sentiamo di salvare è la voce che, pur essendo ovviamente debitrice allo stile del primo Schuldiner, se non altro ha una timbrica e un’impeto convincenti. Per il resto, ci dispiace dover essere così categorici, ma il risultato complessivo, per ora, è ben lontano dalla sufficienza.