8.0
- Band: RETROMORPHOSIS
- Durata: 00:42:11
- Disponibile dal: 21/02/2025
- Etichetta:
- Season Of Mist
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C’è una domanda che aleggia attorno ai Retromorphosis e che nemmeno “Psalmus Mortis” riesce a dissipare completamente: per quale motivo abbandonare un moniker altamente rispettato come quello degli Spawn of Possession per ripartire quasi da zero, creando però musica che resta saldamente radicata nella loro tradizione? Quale che sia stata la motivazione dietro questa curiosa mossa da parte di Jonas Bryssling e Dennis Röndum, il debut album in questione dimostra che Retromorphosis è una forza capace di mantenere viva l’intricata eredità della band di origine svedese. “Psalmus Mortis”, infatti, è esattamente il disco che ci saremmo aspettati da questo gruppo di musicisti (oltre ai due leader, troviamo il famoso chitarrista solista Christian Muenzner e il bassista Erlend Caspersen, più il nuovo batterista KC Howard), ovvero una proposta sostanzialmente all’insegna di un death metal tecnico nella sua forma più elaborata, fatto di ritmiche sincopate, arrangiamenti raffinati e assoli di indiscutibile valore.
A dispetto del cambio di nome, anche questa volta i musicisti dietro i Retromorphosis offrono un’abbondanza di idee in ogni brano, idee che una band meno ambiziosa o creativa probabilmente potrebbe sfruttare per comporre tre canzoni diverse. Nonostante le dichiarazioni su un approccio più concreto e old school, il gruppo non riesce insomma a rinunciare del tutto alla sua ormai proverbiale complessità compositiva. Come i Maiden moderni non sanno più confezionare un album sotto l’ora di durata, Bryssling e soci sembrano incapaci di fare un vero passo indietro verso una forma di death metal davvero tesa e brutale, nonostante episodi come “Aunt Christie’s Will”, “Retromorphosis” o “Exalted Splendour” presentino gustose parentesi più ‘dritte’ e, in qualche circostanza, anche un carattere thrasheggiante che spicca subito all’interno del consueto susseguirsi di finezze.
Chi sperava in un vero e proprio ritorno al suono di “Cabinet” rischia quindi di restare deluso: se alcuni riff possono senz’altro richiamare quell’ormai iconico album di debutto – così come altri fugaci passaggi sembrano rimandare ai classici Suffocation o Monstrosity – il tono generale e la struttura di “Psalmus Mortis” sono lontani dalla grezza energia di quella sempre più lontana epoca.
La produzione esprime certamente un filo di ruvidità in più rispetto alla precisione chirurgica di un capitolo come “Incurso”, ma il songwriting non ha fatto grandi passi indietro. L’album, in effetti, fonde elementi provenienti da tutti i dischi degli Spawn of Possession, aggiungendo qua e là nuove texture, come degli interventi di tastiera che talvolta paiono ispirati alla linea sci-fi dei Nocturnus, oppure atmosfere gotiche sottolineate da interludi corali e rallentamenti, evidenti in particolare in brani come “Never to Awake” e la lunghissima “Machine”.
In sostanza, “Psalmus Mortis” è un’altra opera ricercata da parte di questi virtuosi musicisti: si parte magari da un approccio leggermente meno sfarzoso rispetto all’ultima fatica marchiata Spawn Of Possession, ma anche questa volta il suono è molto ricco, con i riff che si rincorrono e si arrampicano in spirali vertiginose, portando l’ascoltatore in territori visionari e/o di grande tecnicismo. Si respira comunque un certo controllo, e non poteva essere altrimenti, vista la grande esperienza della formazione; un equilibrio suggerito dal puntuale ingresso di momenti più accessibili e concreti, i quali fortificano il tema portante pur senza arrivare mai a livelli paragonabili alla cattiveria di “Cabinet” o al barbaro materiale dei cugini Visceral Bleeding. Questo mix, tra voli pindarici e fondamenta solide – ovvero gradi riff – definisce il carattere dell’album, il quale, come ormai chiaro, sotto certi aspetti avrebbe potuto facilmente inserirsi anche tra i tre full-length della vecchia band di Bryssling e Röndum, ampliandone la tradizione musicale senza il rischio di inficiarne la coerenza.
Infine, anche qui, un elemento di spicco, come sempre era stato per gli Spawn Of Possession, è la capacità della band di creare tensione dinamica, sfruttando cambi di tempo e passaggi che alternano momenti di frenesia tecnica a sezioni più atmosferiche e ripartenze più dure. Questo approccio mantiene l’ascoltatore in uno stato di continua attenzione, sospeso tra anticipazione e sorpresa; una condizione che questa volta viene amplificata dalle pennellate di synth e da questi nuovi dettagli che, pur discreti, arricchiscono la qualità cinematografica dell’album.
In definitiva, “Psalmus Mortis” è l’opera di un gruppo che sa esattamente dove mettere le mani: non introduce nulla di strettamente rivoluzionario, né, come accennato, mantiene del tutto le promesse di un approccio più cattivo e diretto, ma per gli appassionati di death metal tecnico e per i fan dei vecchi progetti di questi artisti, resta un ascolto appagante e una prova delle notevoli capacità, dell’ispirazione e della visione di alcuni dei migliori musicisti del genere.
Retromorphosis potrebbe essere un nome nuovo, ma il DNA degli Spawn of Possession è inconfondibile e ciò fa sì che la loro eredità – seppure rebrandizzata – continui a vivere e a evolversi.