7.0
- Band: REVAMP
- Durata: 00:49:00
- Disponibile dal: 23/08/2013
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Possiamo bene immaginare come dare un seguito a “Revamp”, il debutto della band omonima uscito nel 2010, possa essersi rivelato per la bella Floor Jansen una faccenda particolarmente complicata. A parte le difficoltà derivanti dal di lei nuovo ruolo di frontwoman dei Nightwish, posizione dalla quale deriva fama ma anche un codazzo di detrattori pronti a volgere il pollice in basso a qualsiasi cosa, a rendere ancora più complicato il tutto interviene anche il giudizio che proprio il predecessore aveva lasciato nei vari ascoltatori. “Revamp” non era infatti un disco scevro di difetti: con poco tempo trascorso dallo split con la propria band madre, gli After Forever, Floor si era concessa il tentativo di definirsi una veste musicale più moderna e aggressiva, mettendo un po’ in secondo piano il suono sinfonico ed il respiro goticheggiante che almeno i primi dischi degli After Forever avevano, puntando più su un metal quadrato e aggressivo, in cui gli elementi progressivi sono ritrovabili non tanto a livello di struttura delle singole canzoni quanto a livello della scelta dei suoni. Il risultato era un disco ibrido, una sorta di richiamo delle atmosfere più moderne e definite di “Invisible Circles” o “After Forever” con un taglio decisamente più intransigente. Riallacciandoci al discorso iniziale, “Revamp” non rappresenta dunque un buon punto di partenza: non aveva allora preso una posizione definita, e quindi perpetuava il dilemma: dove sarebbe poi andata Floor con i Revamp? Ci saremmo dovuti aspettare un ritorno a sonorità più vicine al sinfonico degli After Forever, o il modern metal dalle spesse chitarre ribassate avrebbe preso il sopravvento? Coraggiosamente, Floor non abbandona la strada intrapresa e si butta a capofitto e senza più remore nella sperimentazione, dando alla vita un disco aggressivo e pesante, che mostra quasi più punti in comune con l’industrial e il math che con il gothic/symphonic dei primi album degli After Forever. “Wild Card” è un concentrato non sempre bilanciato di aggressività ed umori incostanti, una sorta di discorso geniale, ma anche incongruente e altalenante, che rimbalza senza soluzione di continuità tra momenti spigolosi e taglienti aperture melodiche dal più morbido gusto sinfonico. La voce di floor, perfetta come sempre, è mutevole e priva di identità come la struttura musicale dell’album intero, spaziando anch’essa tra l’operistico di “The Lymbic System”, l’aggressivo di “I Can Become” e il melodico/lirico di “Distorted Lullabies”. Insomma, questa volta di personalità e scelte decise ne abbiamo eccome, anche se forse in maniera fin troppo marcata. Il risultato globale è un album sicuramente buono, come ci dice il voto in fondo alla pagina, ma è innegabile che i violenti riff in palmuting (quasi alla Periphery), i tempi dispari, gli scream di Mark Janssen degli Epica e di Devin Townsend (entrambi ospiti su due pezzi diversi), il cantato lirico diviso tra Nightwish e Epica e l’approccio metal che tanto sembra piacere adesso Floor debbano ancora essere uniformati, prima di poterci far gridare al capolavoro. Sicuramente ben fatto ed interessante ma, ci dispiace dirlo in maniera così asciutta, il confronto con il nuovo disco di Tarja, in uscita in questi giorni, è da Floor sicuramente perso. La classe che mostra l’ex vocalist dei Nightwish su “Colours In The Dark” è proprio su un altro livello…