8.5
- Band: REVENGE
- Durata: 00:43:47
- Disponibile dal: 31/01/2025
- Etichetta:
- Season Of Mist
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L’infaticabile corazzata dei Revenge raggiunge quest’anno il considerevole traguardo dei venticinque anni di esistenza, celebrati con un nuovo, feroce compendio di metal caotico e radicale.
Pioniere nella corrente extreme legata ad un’estetica ed un immaginario belligerante ed antiumano, J. Read fa ormai dell’immobilità stilistica della sua creatura un vanto ed una beffa, capace, nella sua limitata scala espressiva, di sviluppare in un quarto di secolo una filosofia sonora, estetica e concettuale di assoluta originalità e coerenza.
Il nuovo “Violation.Strife.Abominate” racchiude del resto tutti quei dogmi che dettano legge da sempre nel songwriting del progetto, eppure non si riesce ad ignorare la vibrante frenesia con cui i brani sono stati concepiti e registrati, figli di un odio ancestrale che domina ancora potente i solchi del disco.
Niente è mutabile nel mondo dilaniato dei Revenge, e dopo cinque anni di silenzio, le massacranti linee vocali di “Violation Unit (Balaclava Directive)” sono pronte a vomitarcelo in faccia senza pietà, con un primo manifesto programmatico esplosivo, destinato ad infrangersi sui severi rallentamenti di “Treason Disrupt (All Are Guilty)” ed i suoi repellenti vagiti war metal.
Nello stagnante universo musicale dei Revenge, dove il caos regna sovrano, può accadere che un brano come “Flashpoint Heretic (Flame Thrown)” si riveli uno dei migliori della carriera, praticamente impenetrabile tra le maglie dei suoi pattern devastanti, prima che degli effetti vocali assurdi rendano “Strife Invocation” ancora più disgustosa ed eccessiva delle precedenti. A ben vedere, non mancano momenti di puro terrore anche nella doppietta “Mercy Revoked/Piety Vaporised (True Force)” e nelle incursioni punitive brevissime di “Aftermath (Forced Reset)/Liars’ Rope (Degeneracy Fallen)”, dove lo stile vocale e batteristico di Read e quello chitarristico di Vermin raggiungono la loro massima cooperazione nel mantenimento di uno stato di perenne nichilismo catartico attraverso degli strumenti espressivi – prima ancora che musicali – in maniera metodica e violenta.
Il suono del disco, al netto del lieve miglioramento generale attuato già da qualche album a questa parte, è sempre lo stesso, così come il tono granuloso e tagliente delle chitarre e lo stile abominevole della batteria, della voce e dei suoi numerosi effetti: in altre parole, niente è cambiato di una virgola nella grammatica nefasta dei Revenge, che riescono tuttavia a rimanere fedeli alla loro visione artistica con una prepotenza senza uguali.
Quante band possono dire di non aver mai accettato compromessi senza cambiare stile, e quante di esse possono dire di averlo fatto in sette album e oltre due decadi di carriera senza mai perdere un metro in termini di qualità ed intensità? Forse nessuna, oltre a loro.