6.5
- Band: REVOCATION
- Durata: 00:48:20
- Disponibile dal: 28/09/2018
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Da quando i death-thrasher americani Revocation hanno dato alle stampe il loro album di debutto “Empire Of The Obscene” sono passati dieci anni, durante i quali i Nostri non si sono mai fermati un secondo ed hanno continuato a sfornare album e fare tour a ciclo continuo. I Revocation, e in particolare David Davidson, membro fondatore, chitarrista e cantante, nonché mente pensante della band, è sotto molti aspetti un esempio di dedizione e attitudine: nonostante i numerosi cambi di line-up e le avversità di una scena in continua e frenetica evoluzione, ha sempre mantenuto l’operato della band su livelli qualitativi buoni, cercando in continuazione la novità, l’evoluzione o il miglioramento. “The Outer Ones” è il settimo capitolo in studio per la band di Boston e crediamo, senza girarci troppo intorno, che si tratti purtroppo del loro lavoro più debole, o forse dovremmo usare l’espressione “meno riuscito”, ma la sostanza non cambia. Facciamo ancora un passo indietro: ciò che ha sempre fatto del sound dei Revocation una proposta vincente, era una verve techno-thrash-death, dove i due generi venivano mescolati in maniera sapiente ma soprattutto dinamica, con un gusto progressive, specie nella parte solistica, che dava uno slancio alla loro musica, rendendola squillante, frizzante ed evocativa. “The Outer Ones” è invece un album che ha perso quel dinamismo che contraddistingueva i Revocation: si tratta di un lavoro molto ordinario, perfetto dal punto di vista tecnico e formale (come sempre, ci mancherebbe), ma sostanzialmente piatto e spoglio delle molte sfaccettature a cui eravamo abituati. Stilisticamente parlando, ci troviamo tra le mani un’operache suona principalmente death metal, anche se troviamo diversi richiami al thrash, con la novità di qualche accenno blackish qua e là. Sparite completamente le parti clean vocals introdotte negli ultimi platter – in tutta sincerità, non ne abbiamo sentito la mancanza – oggi la melodia, che da sempre è parte integrante della musica dei Revocation, è compito esclusivo del riffing delle chitarre. Ora, sia chiaro che, nonostante la delusione che traspare da questa recensione, non stiamo parlando di un album brutto, o con delle lacune, probabilmente se uscisse sotto un altro moniker ne parleremmo in maniera positiva, anche se il voto sarebbe lo stesso. Ci sono pezzi oggettivamente ben fatti, come la title track o “That Which Consumes All Things”, ma da un punto di vista dell’intensità e del coinvolgimento sonoro, nonché da quello stilistico e della personalità, ci sembra che sia stato fatto un passo indietro. Inoltre questi inserti blackeggianti che di tanto in tanto compaiono lungo la tracklist ci sono parsi davvero poca cosa: poco funzionali ai brani e anche un po’ forzati. Forse, arrivati a questo punto della carriera, ai Revocation converrebbe fermarsi e fare mente locale per tornare ad avere quella freschezza compositiva che li ha fatti arrivare fino a questo punto.