7.5
- Band: REVOLUTION SAINTS
- Durata: 00:47:13
- Disponibile dal: 24/01/2020
- Etichetta:
- Frontiers
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Nella musica, i progetti pianificati attentamente a tavolino con un obiettivo preciso solo saltuariamente superano la prova del tempo, ingabbiati da un taglio ‘aziendalista’ poco spontaneo di norma deleterio, in un settore che dovrebbe vivere di slanci sinceri ed emozioni che provengono dal cuore. Coi Revolution Saints, coronamento del sogno del fondatore di Frontiers Records, Serafino Perugino, di veder germogliare un progetto che avesse Deen Castronovo alla voce principale, possiamo parlare di felice eccezione a quanto detto sopra. Il trio, una all-star band che oltre al batterista/cantante in passato con Wild Dogs, Bad English, Hardline, comprende Jack Blades al basso e Doug Aldrich alla chitarra, conferma con il terzo disco “Rise” di essere una luminosa realtà del filone hard rock melodico, offrendo un elenco di canzoni trascinanti, piene di sentimento e rifinite nei più minimi dettagli. Nulla cambia o quasi nel passaggio da “Light In The Dark” al nuovo album, i Revolution Saints omaggiano l’hard rock appesantito da barlumi di heavy metal di seconda metà anni ’80 e meno celebrati anni ’90, mettendo la melodia in primo piano e dandole supporto e ricchezza di dettagli attraverso singole prestazioni strumentali di alto livello.
Si parte forte con “When The Heartache Has Gone”, opener che vive del brillante dualismo di chitarre e tastiere, suonate come nelle passate pubblicazioni dal produttore Alessandro Del Vecchio. La potenza di suono rimane uno dei vessilli dei Revolution Saints, abili nel concepire giri melodici ruffiani quanto basta ma sostenuti da una vigoria non così comune nel genere. Già da “Price We Pay” il tasso zuccherino si alza, con garbo, stemperando la spinta chitarristica e dando risalto agli intrecci fra voce principale e backing vocals. La scrittura è molto classica, la forma canzone rispettata rigorosamente, eppure la sensazione di ‘inserimento del pilota automatico’ non si avverte, perché ogni strumento offre quel qualcosa in più che lo fa emergere (non di poco) da un’esecuzione standard. Le incursioni soliste di Aldrich, ad esempio, arrivano in punta di piedi, seguono l’andamento dei pezzi allargandone il raggio d’azione, non sovrastano le ritmiche né tolgono respiro emozionale. L’irrompere di “Rise” varia ancora leggermente i toni, sterzando verso andamenti tenuemente muscolari, bilanciati dal ballare dei sintetizzatori su cadenze ritmate, in accordo a una batteria incalzante e non invasiva.
È musica di divertimento, palpitazioni e sostanza quella dei Revolution Saints: la perfezione formale non raffredda le emozioni, consente piuttosto una compiuta espressione delle stesse. Ne sono una riprova le ballate, “Closer” e “Eyes Of A Child”, le voci sono malleabili grazie alle diverse sfumature di gentilezza che i pezzi necessitano, contornate da registri strumentali raffinati, in controllo, senza che ciò comporti ingessamento o forzature nel senso di una ricerca ossessiva del perfezionismo. L’intera tracklist si delinea fra episodi ora più veementi, ora relativamente tranquilli e mansueti, in alcuni casi molto chitarristici, altri trascinati in prevalenza dalle linee vocali: quella che non difetta è la qualità di scrittura, costante dall’inizio alla fine. L’unico vero (parziale) torto di “Rise” è che contiene ottime canzoni ma non, a nostro avviso, delle hit fantasmagoriche. Niente colpi da KO, ecco; gli amanti dell’hard rock melodico comunque gradiranno e difficilmente avranno di che ridire su questa nuova fatica di casa Frontiers.