6.0
- Band: RING OF FIRE
- Durata: 00:58:31
- Disponibile dal: 11/11/2022
- Etichetta:
- Frontiers
Spotify:
Apple Music:
È passato quasi un decennio dall’ultima pubblicazione dei Ring of Fire, e la band capitanata dal cantante Mark Boals ci riprova ancora una volta con “Gravity”, prodotto dall’italianissima Frontiers Music. La formazione è cambiata significativamente negli ultimi anni e non possiamo fare a meno di notare con piacere che il gruppo annovera tra le sue fila alcuni ottimi talenti provenienti dal Bel Paese.
Ad un primo ascolto è chiaro che gli ingredienti che caratterizzano il power metal ci sono tutti: una voce acuta e potente, virtuosismi chitarristici dal sapore barocco e le tipiche linee di tastiera (suonate dal virtuoso Vitalij Kuprij in questo caso) che spesso si intrecciano con soli di chitarra al fulmicotone, magistralmente eseguiti da Aldo Lonobile. Dietro le pelli troviamo invece il giovane Alfonso Mocerino intento ad intarsiare un tappeto ritmico che si sposa perfettamente con il basso di Stefano Scola e insieme ci regalano ‘cavalcate metal’ su cui fare del sano headbanging. Il talento chiaramente non manca, specialmente se consideriamo le capacità canore di Boals, in grado di sostenere una performance di livello all’età di sessantatré anni.
Dal punto di vista musicale, “Gravity” è un album che, tutto sommato, si lascia ascoltare, ma risulta un’opera a tratti anonima e un po’ neutra, in cui quasi nessuna delle dieci tracce rimane fortemente impressa in mente dopo i primi ascolti. Tra i pezzi più convincenti troviamo “Storm Of The Pawns”, dal sapore a tratti arabeggiante e velatamente progressive. Il brano convince e rimane attaccato all’ascoltatore per la composizione articolata, i cambi ritmici per nulla banali e l’intermezzo di pianoforte in cui la formazione classica di Kuprij emerge prepotentemente. Il pezzo è iconico all’interno dell’opera e non a caso la band lo seleziona come primo singolo. Giù le luci e fuori gli accendini anche per “Sky Blue”, una bella ballata dal suono caldo e rock capace di esplodere in un solo di chitarra travolgente e passionale. Molto interessante anche l’introduzione di chitarre acustiche, che spezza e addolcisce l’andamento dell’album, richiamando sonorità vicine a quelle degli Avantasia.
Al di là di queste tracce, “Gravity” dà l’impressione di essere un’opera musicale scritta a tavolino, un disco che gira ma non appassiona poi troppo l’ascoltatore.
La composizione sembra essere un po’ fine a se stessa, e si ha quasi la percezione che le idee melodiche siano state sviluppate più per enfatizzare una vasta tecnica strumentale che per concretizzare l’ispirazione musicale della band. Questo è il motivo principale per cui l’album strappa di certo un sorriso malinconico agli amanti del genere ma, allo stesso tempo, manca un po’ di carattere. Insomma, un’opera senza infamia che poteva tranquillamente dare di più, specialmente considerando l’ottimo calibro dei musicisti coinvolti.