6.5
- Band: RINGWORM
- Durata: 00:41:12
- Disponibile dal: 14/03/2014
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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I Ringworm sono fra i padri di tanto di quello che etichette come la Southern Lord o la Deathwish Inc. ci hanno regalato nell’ultimo decennio. Pionieri nel mescolare hardcore ed extreme metal, questi tipacci di Cleveland non sono mai scesi a compromessi, indicando a molte formazioni la via da seguire, ma rimanendo per scelta nelle retrovie, dove nessuno ha mai chiesto loro di pubblicare dischi in serie e di andare in tour ad oltranza. Oggi tuttavia li ritroviamo su Relapse, un giusto premio dopo diversi anni trascorsi ad essere il nome più rozzo e brutale del roster Victory. In seguito a questa mossa, James “Human Furnace” Bulloch e soci con tutta probabilità verranno esposti ad un pubblico maggiormente in grado di comprenderli, tuttavia dubitiamo che ciò riuscirà ad influenzare il loro futuro modus operandi. I Ringworm sono sempre stati dei misantropi e questo difficilmente cambierà. “Hammer Of The Witch”, il loro sesto disco, ce li ripresenta coerenti e quadrati come sempre: più passa il tempo, più il frontman si avvicina a rappresentare l’ibrido perfetto fra Tompa Lindberg e Dwid Hellion, mentre la musica è indubbiamente quel thrash venato di hardcore made in Cleveland che tutti gli appassionati del gruppo hanno imparato a conoscere dal 1991 ad oggi. Una sorpresa, semmai, si trova nella durata complessiva dell’opera: oltre quaranta minuti, un record per la band! Se da un lato fa piacere constatare che il quintetto sia prolifico ed ispirato, dall’altro ciò fa sorgere qualche dubbio sulla reale efficacia del disco. D’altronde, le canzoni dei Ringworm aderiscono più o meno alle stesse formule sin dagli esordi: se in passato i Nostri aggiravano il problema con degli album fulminei, oggi essi si trovano – e gli ascoltatori con loro – a dover fare i conti con un lavoro che una volta giunto a metà sembra quasi ripartire da capo. Certamente durante l’ascolto non intervengono noia e fastidio, ma, alla fine, è anche vero che è difficile ricordarsi dei brani in particolare. I Ringworm avrebbero potuto seguire l’esempio dei colleghi Integrity, che nel tempo sono riusciti a sviluppare uno stile più vario e personale partendo da basi assai simili a queste, ma evidentemente la passione per Slayer e le sonorità più dirette è stata difficile da accantonare. In ogni caso, va bene anche così: il disco rimane tutto sommato divertente e ben curato. Qualcuno magari verso la fine si sentirà un tantino esasperato, ma, d’altra parte, stiamo pur sempre parlando dei Ringworm, non dei Dream Theater. Prendere o lasciare, oggi più che mai!