7.5
- Band: RIVAL SONS
- Durata: 00:45:20
- Disponibile dal: 25/01/2019
- Etichetta:
- Atlantic Records
- Distributore: Warner Bros
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Radici ferali. Ecco i Rival Sons ritornare sui propri passi. E c’è da dirlo: si parla sempre di grande rock’n’roll. Ed oggi, dove tanto si parla dei Greta Van Fleet e della riscoperta (o meglio ‘fotocopiatura’) dei Led Zeppelin, non si dovrebbe prescindere dal menzionare Jay Buchanan e soci, che tornano con il grande compito di suggellare il loro status di band rock del Duemila, questa volta sotto l’egida sia della Atlantic sia della nuova etichetta di Dave Cobb, la Low Country Records. Difficile, infatti, non considerare la band di Long Beach come una delle realtà più significative del rock’n’roll mondiale degli ultimi anni. Una decina di anni di attività live (alla grande) e discografica (altrettanto significativa) hanno portato la band capitanata dal chitarrista Scott Holiday ad assumere uno status da cui difficilmente si può sfuggire. E con questo ‘incubo al whisky pieno di serpenti’, come è stato definito questo sesto “Feral Roots” dalla stessa band, le cose restano le medesime.
Si comincia infatti alla grande con un grande singolone “Do Your Worst”: 100% Rival Sons, bel riff, bel ritornello, grande groove; un vero e proprio anthem da presentare nelle setlist, già rodato e perfettamente funzionante. “Sugar To The Bone” mantiene il tiro in alto, come si ci poteva aspettare, con un fuzz imponente a reggere la linea di Scott Holiday e un testo che tiene in alto il sacro nome del R’n’R. I Rival Sons riescono ancora una volta ad offrire un grande panorama di blues e rock’n’roll e a pieno titolo si può considerare questo sesto lavoro un altro grande passo per confermare la caratura dei californiani. E – perché no? – configurarsi con un album dal quale iniziare a scoprirli. Oltre alla opener sono infatti molti i pezzi con i quali confermare la qualità del songwriting di Holiday: uno tra questi è forse proprio “Feral Roots”, quasi folkeggiante nel suo spirito e tutta blues da godersi fino in fondo. Se i musicisti in gioco restano indissolubilmente fondamentali per il grande rock’n’roll presente in queste canzoni è ancora vero che il timbro di Jay Buchanan resta il grande punto di forza della band. Ancora una volta, infatti, la calda voce morrisoniana del buon Buchanan resta capace di quelle sue altalene tutte americane, impolverate e zeppeliniane e insieme fumose e affascinanti (sentire “All Directions” per le conferme di rito). Una “Too Bad” richiama i vecchi fasti di quell’hard rock à la Whitesnake che più ci sono piaciuti nel tempo e rappresenta uno dei punti più alti di questo “Feral Roots”, per le performance di tutti e quattro i musicisti in campo. Punti deboli? Beh, il tutto è già sentito e risentito milioni di volte. Ma questo non toglie nulla alle belle canzoni contenute in questo nuovo lavoro del quartetto di Long Beach. Ancora in grado di esaltare in tutto e per tutto con la medesima formula di sempre.