8.0
- Band: RIVERS OF NIHIL
- Durata: 01:04:29
- Disponibile dal: 24/09/2021
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Tre lavori alle spalle con un discreto successo, soprattutto l’ultimo “Where Owls Know My Name” del 2018 che ha ricevuto recensioni entusiastiche dagli addetti ai lavori oltre che popolarità tra gli appassionati; la band che dichiara di non essere stata danneggiata per niente dalla pandemia, poiché il programma era quello di dedicare tutto il 2020 alla scrittura del nuovo album ed è stato rispettato; la collaborazione, ancora una volta, con il prestigioso artista Dan Seagrave per la creazione della copertina; mettiamoci pure un’etichetta di peso come Metal Blade: le premesse per un disco che lasciasse il segno, insomma, c’erano tutte e “The Work” non tradisce le attese. Questo lavoro è letteralmente la traduzione in musica dell’enorme sforzo compiuto dalla band della Pennsylvania ed è soprattutto un’opera mastodontica, opulenta sotto ogni aspetto: l’ambizione, la versatilità, il coraggio, la tecnica, la quantità e, non ultima, la qualità. L’obiettivo che i Rivers Of Nihil si sono posti non è certo di semplice realizzazione e consiste nell’incastonare in un metal decisamente molto tecnico derive di tutt’altra specie, che vanno dal jazz al folk, all’elettronica ed all’industrial, sempre con un indubbio spirito progressive, ma il quintetto di Reading riesce a centrarlo con successo, scegliendo di coniugare la parte cerebrale della propria musica con quella più emozionale e sfruttando, in maniera maggiore rispetto al passato, le elevate capacità compositive ed esecutive. Operazioni del genere rischiano di degenerare in meri esercizi di stile; in questo caso, invece, il risultato è ottimo, pur nella sua osticità: “The Work”, come già detto, ha un’impronta fortemente prog che, nei momenti migliori lo fa sembrare un disco dei King Crimson che si cimentano con il death. Non mancano brani che sono vere e proprie sferzate, con riff pesantissimi e blast beat, come ad esempio “MORE?”, bilanciati però da moltissima melodia, sempre oscura e mai banale, con “Maybe One Day” che è una semi-ballata con tanto di chitarra acustica e rappresenta uno squarcio di luce in un’ora di musica in cui i toni sono perlopiù grigi e decadenti; voci pulite sono presenti molto più che in passato accanto al classico growl. Se si vuole, però, ascoltare un solo brano che faccia da summa a tutta l’opera, questo deve per forza essere “Terrestria IV: Work”: undici minuti abbondanti in cui lancinanti sfuriate e attimi di calma si susseguono e ritorna anche il sassofono a suggellare un pezzo che cresce con gli ascolti. Una decisa e costante evoluzione rispetto ai dischi precedenti: in particolare questa volta è forte quell’attenzione ai dettagli che, in progetti così ambiziosi, fa la differenza.