7.5
- Band: RIVERSIDE
- Durata: 01:42:29
- Disponibile dal: 21/10/2016
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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In un anno tragico, durissimo, segnato indelebilmente dall’improvvisa scomparsa del chitarrista Piotr Grudziński, i Riverside approdano a un’uscita che sarebbe stata comunque significativa, a prescindere dalla morte di uno dei membri della line-up, ma che alla luce di tale accadimento assume un significato ancora più importante. Quello di essere uno spartiacque nella carriera della band prog polacca, entrata in una nuova dimensione più morbida e acustica col sesto full-length “Love, Fear And The Time Machine”, alle prese in “Eye Of The Soundscape” con composizioni aventi poco a che spartire col rock e il metal. Da una parte, la raccolta ha il valore del compendio, dato che alcune tracce provengono da bonus track delle edizioni limitate di “Shrine Of New Generation Slaves” e “Love, Fear and the Time Machine”, oppure da pubblicazioni minori rese disponibili soltanto nel paese d’origine; dall’altro, presentando quattro nuove canzoni (“Where The River Flows”, “Shine”, “Sleepwalkers” and “Eye Of The Soundscape”), illustra la fresca ispirazione di questi musicisti nel concepire un vasto e dettagliato commentario sonico di impronta elettronica e ambient. Non si tratta di un riempitivo, di uno ‘svuota-cassetti’ in piena regola: l’operazione prende le mosse da un’esigenza artistica urgente, impellente, necessaria proprio per chiudere un capitolo, quello della cosiddetta ‘trilogia della folla’ degli ultimi tre album, e aprirne uno nuovo. L’apparire dei lunari soundscape contenuti nel doppio album, incorniciato da un artwork stupendo, opera nuovamente di Travis Smith, non deve aver stupito più di tanto i fan di lungo corso. I Riverside hanno posto in risalto, in particolare in anni recenti, un estro peculiare per arrangiamenti che andassero ben al di là di quelli attesi da una ‘normale’ compagine prog rock, mettendoli al centro dell’attenzione in modo prepotente e acrobatico, se guardiamo a quanto avviene all’interno di “Anno Domini High Definition”, o al contrario più interstiziale e misurato come in “Love, Fear And The Time Machine”. Semplificando il discorso, è bastato togliere chitarre distorte e impulsività, lasciar scorrere i sintetizzatori e osservarli mentre si trasformano in paesaggi cristallizzati in albe perfette, finestre su un nuovo mondo di possibilità inesplorate, infine usare la normale strumentazione rock in una foggia nuova e più pacata. Ed ecco saltare fuori un altro saggio della classe di Mariusz Duda e compagni. Fluorescenze brumose si alzano da brani quasi sempre solo strumentali, dove i synth si allargano in macchie di differenti colori, coprendosi ed emulsionandosi a vicenda, dando vita a incroci dal fascino altero. Si propaga una forte solennità, all’interno di composizioni che crescono placide, preda di una narcolessia suadente, melodicamente tese e architettate con passione per il singolo dettaglio e dando il giusto risalto a progressioni enfatiche, ma disegnate con molto garbo. L’immalinconirsi dei Riverside negli ultimi anni ha una naturale prosecuzione in “Eye Of The Soundscape”, giocato su poche note per volta, che nella sua interezza nulla vuole sapere della sintesi e chiede piuttosto una pazienza certosina e una predisposizione a cogliere nella reiterazione di pulsazioni, percussioni meccaniche, chitarre pizzicate timidamente, arabeschi sottili come carta velina, la profondità di sentimenti dei suoi autori. L’incedere circolare in lento divenire vede le tastiere primeggiare, stelle attorno alle quali gli altri strumenti fungono da satelliti, orbitanti con ordine e disciplina, dando linfa a piccole suite eleganti, mai banali, debitrici a volte anche di certo pop ottantiano, rivisitato con classe e competenza. Un’opera di confine, dunque, lontana da sfoggi d’accademia e intellettualismi, validissima aggiunta a un catalogo che continua a dare grandi soddisfazioni, anche sotto sembianze distaccate dal filone stilistico principale.