8.0
- Band: RIVERSIDE
- Durata: 01:00:38
- Disponibile dal: 04/09/2015
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Universal
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Ogni tanto vale la pena di credere alle dichiarazioni degli artisti, a fidarsi di quanto espongono a riguardo delle proprie opere prima che esse vengano rivelate al pubblico, soprattutto quando i primi commenti in merito non comunicano alcuna strafottenza o autosviolinata, ma vanno realmente ad attingere alle reali ragioni che hanno guidato la composizione di un nuovo album e a spiegare i motivi di talune scelte. Mariusz Duda l’aveva detto che con “Love, Fear And The Time Machine”, da lui scritto in toto, i Riverside si sarebbero smarcati perfino da se stessi, ammorbidendo nettamente il sound e ponendosi sotto una prospettiva lirico/musicale intimista, riflessiva, lontanissima dai funambolismi che sembrano essere divenuti un must per la quasi totalità dei gruppi progressive. Fedeli a un’idea del prog che non ha mai voluto fidarsi ciecamente della tecnica e della destrezza, i quattro polacchi hanno nuovamente cercato tramite l’elevato controllo sugli strumenti di progettare e realizzare un ecosistema sonico molto emozionale, privo di astrusità e attentissimo a far vibrare l’anima dell’ascoltatore come un diapason ad ogni nota, senza indulgere in alcun riempitivo o passaggio anonimo. Nessuno potrebbe tacciare i Riverside di freddezza, men che meno oggi, dove le canzoni sono diventate sofficissime, con i retaggi propriamente metal quasi scomparsi e la stessa identità ‘rock’ fortemente diluita. Come vi avevamo segnalato nel track-by-track di metà agosto, la qualità di scrittura è rimasta a livelli notevolissimi, permettendo al sesto album della formazione est-europea di entrare fra i must di quest’annata. Ogni elemento in gioco contribuisce a infondere un clima allo stesso tempo rasserenato e malinconico: l’ovattata produzione, con la distorsione chitarristica tenuta perennemente a freno, i pochissimi stacchi ritmici realmente rapidi e agitati, una vocalità che predilige i toni bassi e narrativi, limitando le alzate di voce a pochi selezionati momenti, un basso rotondo e avvolgente sempre in primo piano e le tastiere dalle mille sfumature lì accanto ad arricchirne la portata emotiva, oppure a dargli brevemente il cambio nel dettare la linea guida. Detto così appare tutto fin troppo semplice ed elementare, ma è proprio in questa parziale assenza di energia, in questa morbidezza finissima che emerge prepotentemente l’estro del combo. La qualità dei singoli arrangiamenti è altissima, ognuno di essi porta con sé stimmate di una classe superiore, messa al servizio di un lavoro d’insieme sontuoso: ogni canzone è un assemblato di una miriade di ingranaggi diversi, settati per funzionare alla perfezione come un pregiato prodotto di orologeria svizzera. La meraviglia nell’ascolto è la stessa provata davanti a un armonico movimento tourbillon di uno di quegli aristocratici strumenti di misurazione del tempo elvetici, con la sostanziale differenza che tali prodotti artigianali se li possono permette in pochi, visti i prezzi astronomici, mente la musica dei Riverside è alla portata di tutti. Nei costi, ma anche nella fruibilità, perché a fronte di uno spessore tecnico/artistico esorbitante il quartetto di Varsavia suona con disinvolta semplicità, privilegiando uno sviluppo suadente, con ampio utilizzo di chitarra acustica, synth ottantiani e linee di basso che mai come ora ricordano quelle del maestro Geddy Lee. Il ruolo di subalternità di chitarra e batteria non ne sviliscono in ogni caso l’importanza, solo ne ridefiniscono i compiti rispetto a un classico ensemble rock, mentre la voce si staglia centrale in questo quadro emozionale intensissimo, dove è possibile rimanere coinvolti empaticamente in maniera totale, provando reali brividi sulla pelle quando Duda scandisce gentilmente le lyrics. Difficile accostare l’album ad altri episodi passati della band, o a qualche altro disco prodotto da altri gruppi: troppo personale e legato a uno stato d’animo molto intimo “Love, Fear And The Time Machine” per avere credibili epigoni in giro. Il potenziale singolo “#Addicted” e “Discard Your Fear” sono a nostro avviso le canzoni di punta, probabilmente anche quelle più immediate e possibile traino per nuovi ascoltatori che siano digiuni dal ‘Riverside-sound’. L’unica critica che ci sentiamo di muovere è quella di aver posto in chiusura, uno dietro l’altro, due brani pressoché acustici ben poco movimentati come “Time Travellers” e “Found (The Unexpected Flaw Of Searching), buoni ma leggermente inferiori ai precedenti. Un’inezia, dopo tutto: vi assicuriamo che “Love, Fear And The Time Machine” non vi lascerà assolutamente indifferenti e vi lascerà una sana voglia di approfondirlo nei dettagli, fino a interiorizzare pienamente tutto il suo profondo messaggio.