5.5
- Band: ROOT
- Durata: 00:49:18
- Disponibile dal: 25/11/2016
- Etichetta:
- Agonia Records
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Impossibile è il compito di riassumere in poche righe la carriera di un gruppo rimasto sempre nell’underground come quello dei cechi Root. La band è in giro dal lontanissimo 1987 e nel corso della sua pluridecennale carriera, e dopo aver pubblicato una decina di album, ha spaziato i suoi orizzonti sonori verso tutti generi musicali possibili anche se sempre riconducibili all’universo metal. Da un punto di vista legato ai testi questo nuovo CD continua la storia iniziata nel 1996 su “Kärgeräs“. Musicalmente i Root, trascinati sempre dal guru Big Boss, sul nuovo “Kärgeräs – Return from Oblivion” ripercorrono alcune tappe già superate nella loro lunghissima carriera. Troviamo il classic heavy ammantato da tetre atmosfere e da assoli molto vicini per stile alla scuola NWOBHM. Il vocione di Big Boss può piacere oppure no, ma è indiscutibilmente un elemento carismatico che dona personalità al sound dei Root. Le influenze extreme metal fanno capolino in modo sporadico e quelle black metal sono del tutto assenti (dopotutto lo sono ormai da molti anni). Anche l’aura dei Venom, che in passato ebbe una forte presa sul gruppo, qui non è presente, piuttosto ci sono frammenti doom che vengono utilizzati dai Root in qualche brano. La prima metà del CD scorre via a fatica e non lascia ricordi indelebili perchè non c’è un brano in grado di lasciare il segno. “New Empire” in teoria è un brano classic heavy a tutti gli effetti, ma i Root riescono a personalizzarlo talmente in profondità sino a farlo sembrare qualcosa di diverso ed indefinibile. C’è malinconia, epicità, rabbia nel loro sound ed un tocco mistico molto misterioso che incuriosice l’ascoltatore e al contempo non gli fa carpire l’essenza vera della band. “Up To The Down”, il brano strumentale dove Big Boss non canta, è paradossalmente il miglior pezzo della release: qui si sente chiaramente un feeling di quiete ed armonia naturale che in un paio di altri frangenti su questo lavoro è accennata e basta. La qualità dei brani non decolla e pare arduo individuare chi potrebbe essere l’ascoltatore più indicato per apprezzare la band ceca: non un amante dell’extreme metal di certo, ma anche un fan incallito dell’heavy classic resterebbe deluso da una proposta musicale così particolare e dispersiva fin troppo. I Root restano un gruppo enigmatico e, almeno su questa release disomogenea, poco esaltante.