ROTTING CHRIST – ΠΡΟ ΧΡΙΣΤΟΥ

Pubblicato il 21/05/2024 da
voto
6.5
  • Band: ROTTING CHRIST
  • Durata: 00:46:05
  • Disponibile dal: 24/05/2024
  • Etichetta:
  • Season Of Mist

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Trentacinque anni di carriera e, è il caso di dirlo, sentirli tutti: i Rotting Christ hanno attraversato innumerevoli decenni portando orgogliosamente lo stendardo ellenico della fiamma più nera, eppure da qualche anno a questa parte i segni di una certa stanchezza di fondo appaiono più evidenti, soprattutto sul suo lìder màximo Sakis Tolis.
Un ciclo di nuovi album (solisti e non) e tour continui per tutto il mondo sono sicuramente segno di una lena e dedizione encomiabili, eppure hanno un proprio peso specifico nell’economia di energie di un musicista; e se “Rituals” prima, e soprattutto “The Heretics” poi ne mostravano purtroppo l’evidenza, questo nuovo “ΠΡΟ ΧΡΙΣΤΟΥ” – sesto disco a suggellare un’intesa duratura con la francese Season of Mist – sicuramente non risolleva il panorama generale del gruppo greco, ma almeno sembra leggermente meno ‘appannato’ del suo predecessore.
Nell’analizzare i tre quarti d’ora di musica, appare sempre più evidente che, stanchezza o meno, i Rotting Christ abbiano coscientemente scelto di spostare, con gli anni, il proprio modo di intendere e suonare black metal in una direzione sempre più ‘cinematografica’ ed epicheggiante, relegando quanto rimane loro in termini di turpe, sulfurea virulenza luciferina old-school alle celebrazioni di carriera.
Questo corso, che in prospettiva possiamo vedere come prenda il via almeno da “Aealo” in poi, porta con sè una maggiore pulizia e bombasticità nella produzione e nei suoni: dalla crepuscolare “The Aposthate”, con il proprio incedere litanico, cadenzato e i cori a soppalcare un muro compatto di chitarre, basso e batteria, fino alla finale “Saoirse”, ciascuno dei dieci pezzi interpreta, nelle intenzioni, la gloriosa potenza di re e regni pagani prima dell’avvento del dominio cristiano (il titolo stesso dell’album, tradotto, significa proprio “prima di Cristo”); gesta e ideali del passato vengono quindi celebrati con gran profluvio di riff muscolari – ed il cui focus è più su compattezza che velocità – e pattern di batteria belligeranti, curati da un Themis Tolis in questo senso sempre sul pezzo, magari talvolta affiancati da episodi, come “Like Father Like Son” meno da ‘pugni sul petto’ e più figli di quanto prodotto, nel bene e nel male, da Sakis in versione solista.
Anche il cantato si attesta sempre più su tonalità baritonali (quando non declamatorie) riducendo al minimo indispensabile lo screaming – e se pensiamo a quanto suonano live i nostri possiamo ben immaginare come anche questo, oltre ai momenti ‘da battimani e cori da stadio’, possa essere visto in prospettiva di quell’economia di risorse di cui si parlava prima, senza tenere da conto, in questo frangente, dell’apporto/supporto live di Kostas Heliotis (basso) e Kostis Foukarakis (seconda chitarra).
Le melodie, ovviamente, sono sempre presenti, ma anch’esse appaiono rallentate e più fosche, in un tentativo forse di ripescare alcune suggestioni (“The Farewell”) dalla cosiddetta ‘fase gotica’ della loro carriera, riportando alcune fragranze di “Sleep Of Angels” o “A Dead Poem” senza però riuscirne a replicare l’intensità o l’ispirazione, essendo comunque quei dischi figli di un determinato periodo storico per la musica metal. Ad affiancare queste, troviamo anche il gusto melodico più radicato nella terra d’origine dei nostri: in particolare, vi invitiamo ad ascoltare “Pix Lax Dax”, che replica il refrain di “The Aposthate” filtrandolo con i sentori etnici che resero a suo tempo “Aealo” un gioiellino, oppure “The Sixth Day”, in cui ritroviamo invece delle soluzioni più vicine (ma ovviamente non eguagliate) all’altrettanto bello “Theogonia”.
E se “La Lettera Del Diavolo” cerca la drammaticità di Diamanda Galas, risultando forse il pezzo più particolare del disco, “Pretty World, Pretty Dies” invece ricade nel baratro dell’autocitazionismo riciclatorio di riff e assoli che aveva infestato i precedenti due lavori del combo greco, forse qui non così evidente ma comunque presente.
In conclusione, se ci chiedete se questo disco è bello o meno, la nostra risposta è: se avete conosciuto o apprezzato i Rotting Christ per come sono diventati in questi ultimi dieci anni, probabilmente “ΠΡΟ ΧΡΙΣΤΟΥ” vi piacerà come “Κατά τον δαίμονα εαυτού”, quindi aggiungete pure mezzo voto a quello in calce.
Se viceversa questa ultima, lunga fase non vi ha colpito, tornate ad ascoltare pure “Non Serviam”, “Thy Mighty Contract” o “Thriarchy Of The Lost Lovers” se proprio avete voglia di Rotting Christ (oppure volgetevi verso la sponda Varathron del settore per musica meno datata): sicuramente erano più lerci di suono e essenziali nella sostanza, ma è in essi che vediamo la piena realizzazione di quella mordace blasfemia contenuta nel nome che li ha resi grandi – qui davvero molto, molto diluita, quando non assente del tutto.

TRACKLIST

  1. Pro Xristoy (Προ Χριστού)
  2. The Apostate
  3. Like Father, Like Son
  4. The Sixth Day
  5. La Lettera Del Diavolo
  6. The Farewell
  7. Pix Lax Dax
  8. Pretty World, Pretty Dies
  9. Yggdrasil
  10. Saoirse
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