8.0
- Band: ROTTING CHRIST
- Durata: 00:59:19
- Disponibile dal: 28/08/2000
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Una delle tracce che rimangono marchiate a fuoco dopo l’ascolto di questo disco è “My Sacred Path”. Cinque minuti e trentotto di canzone che avanza inesorabile, tragicamente maestosa, a segnare il nuovo corso di una band con un decennio abbondante di carriera alle spalle, lasciando dietro di sé pelle d’oca e rinnovati consensi. “My sacred path I follow you/I made an oath I fear and trust you” latra la voce di Sakis con rinnovata virulenza, come per ricordare a se stesso e alla propria blasfema creatura quale sia la via da seguire: quella sinistra, dissestata ed impervia del black metal, a costo di rinunciare a qualsiasi sogno di gloria, alla tranquillità di una vita ‘normale’ in favore di una genuina dedizione per quella musica cui ha votato la propria esistenza.
Ma non tutti riescono ad avere la tenacia del maggiore dei fratelli Tolis: Themis, il minore, si allontana per la seconda volta dal gruppo e passa un lungo periodo tentando di combattere i propri demoni. Ne uscirà vittorioso e con una rinnovata integrità, ma pur componendo le parti di batteria, comunque non prende parte alle registrazioni del disco; al suo posto in studio arriva Jan Roger Halvorsen, precedentemente in forze per qualche periodo con gli Old Man’s Child. La differenza è percettibile, se si è attenti: in questo disco la batteria perde un po’ di quella muscolatura taurina che da sempre è uno dei trademark del testardo Themis; stavolta è precisa, secca, acuminata come l’aria svedese che circonda gli Abyss Studios, in cui il disco viene registrato e prodotto, questa volta da Peter Tägtgren, monolite della scena svedese e fondatore degli Hypocrisy, e per la prima volta da Sakis stesso.
L’alta latitudine filtra nella musica e l’intero sound risulta per la prima ed unica volta gelido, quasi scandinavo. Questo non significa che i Rotting Christ abbiano perso la propria identità mediterranea, anzi: è da qui che ripartono per compattarsi e ritrovare se stessi.
Con “Khronos” comincia una lenta risalita da un abisso di romanticismo barocco, atmosfere dark e decadenza (concettuale, non certo reale) che culminerà, di lì a qualche anno, nella scalata all’Olimpo di “Theogonia”. Lento ma inesorabile, Sakis comincia a scuotersi di dosso la sabbia dei sogni e crea un disco affilatissimo, questa volta di nuovo squisitamente volto verso panorami black, come annunciato dalla mitragliata iniziale di “Thou Art Blind”. L’avvento del nuovo millennio segna un crescente interesse per le sonorità più estreme e sperimentali, come l’industrial o le avanguardie elettroniche, entrate di prepotenza anche in questo lavoro grazie all’influenza del tastierista George Tolias, che in questo lavoro ha una parte attiva a livello compositivo: l’anima industrial pervade tutto il disco (dai campionamenti di “Aeternatus” o “Fateless”, micidiale come una gragnuola di pugni, fino alla cover degli inglesi Current 93 “Lucifer Over London”) ed esce prepotentemente nella ghost-track presente in chiusura, insieme con gli ultimi palpiti dell’infatuazione darkwave, particolarmente evidenti in “Art Of Sin”. La titletrack anche è fortemente intrisa di sentori gotici, dal ritmo dilatato alle tastiere sommesse, ma poi muta bruscamente volto nella parte conclusiva, a manifesto di una determinata voglia di cambiare.
I Rotting Christ non lo sanno ancora, ma con l’ibrido “Khronos” hanno appena mosso il primo passo lungo il cammino degli eroi.