7.5
- Band: ROYAL HUNT
- Durata:
- Disponibile dal: 23/06/2003
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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Ottava fatica in studio per i danesi Royal Hunt che, con “Eye Witness”, firmano probabilmente il miglior album della loro decennale carriera. Il limite della band di Andre Andersen fino ad oggi era rappresentato da una sorta di cristallizzazione compositiva, quella staticità il cui principale effetto riguardava l’interscambiabilità tra i loro lavori, per cui molto spesso si aveva la sensazione che fra l’esordio “Land Of Broken Hearts” ed il penultimo “Watchers” i cambiamenti veri e propri riguardassero i titoli dei brani e gli avvicendamenti tra diversi vocalist. Questa condizione (economicamente remunerativa) di AC/DC dell’heavy neoclassico viene fortunatamente spazzata via dal nuovo lavoro, che fra l’altro rappresenta l’esordio per la nostrana Frontiers. Si tratta sicuramente del disco più oscuro ed introspettivo realizzato dai quattro musicisti, al secondo album consecutivo con la medesima line-up. Le novità sono tangibili già dall’iniziale “Hunted”, introdotta da una mini suite strumentale per poi trasformarsi in una cavalcata in tipico stile Queensryche (“Operation Mindcrime”-era), con pregevoli innesti neoclassici. La successiva “Can’t Let Go” gioca su un tempo cadenzato di grande impatto, con un maestoso lavoro tastieristico introduttivo. Dopo la parentesi religiosa voce-organo, “The Prayer”, ecco la bellissima “The Edge Of The World” (introdotta da un solido riff saturo di wah wah), song che alterna sezioni dai cantati oscuri ad aperture melodiche nel refrain in puro stile UFO. “Burning The Sun” è una song al 100% in puro stile Royal Hunt, fra botta e risposta chitarra-tastiera, doppia cassa sfiancante e cantati epici che esplodono con una forza incontenibile. “Wicked Lounge” è un episodio atipico, una specie di song in stile Lionel Richie, con tanto di cori gospel e assoli di sax. Spazio quindi allo strumentale “Fifth Elements”, puro esercizio di stile, prima del brano-capolavoro “Help Us G-D”, una sorta di rilettura della mitica “Perfect Strangers” dei Deep Purple. La titletrack conclusiva è invece divisa in due sezioni: ballad riflessiva pianoforte-chitarra classica-voce nella prima sezione e veloce power song nella seconda. Interessante anche il lavoro svolto sulle liriche, una sorta di mini-concept sul ruolo svolto dai mass media nella nostra vita quotidiana. Bentornati, Royal Hunt!