9.0
- Band: ROYAL HUNT
- Durata: 00:47:59
- Disponibile dal: 23/10/1997
- Etichetta:
- Semaphore
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Quando, nel 1996, i Royal Hunt si apprestavano a registrare il loro quarto disco “Paradox”, la sensazione era di una band pronta a raggiungere il suo massimo splendore. Il precedente lavoro, “Moving Target” del ’95, aveva ottenuto un largo successo, soprattutto nel Sol Levante (sancito dal meraviglioso live pubblicato a nome “1996”), e l’ingresso di un cantante di razza come l’americano DC Cooper aveva permesso al gruppo di crescere vertiginosamente, aggiungendo al puzzle un tassello di inestimabile valore.
Il loro heavy metal melodico, raffinato e dalle tinte neoclassiche/progressive, era così pronto a decollare, grazie in primis all’estro di André Andersen, mastermind e tastierista della band di Copenaghen, che proprio qui tocca l’apice della propria ispirazione entrando in una sorta di estasi compositiva. Un disco che piazza una dopo l’altra una serie di chicche permeate da una classe capace di conquistare grazie a melodie vocali accurate e brillanti, dove la voce piena, dinamica ed autorevole di Cooper lascia il segno coadiuvata da arrangiamenti sublimi.
Dopo una breve intro – con chitarra acustica e voce ad intonare un motivetto che verrà poi ripreso durante il resto dell’ascolto – è la suadente “River Of Pain”, con i suoi ritmi trascinanti, ad aprire il sipario di questa opera grandiosa; riff compatti e tastiere in primo piano sono le basi sulle quali aleggiano le linee vocali ricche di pathos intonate dal cantante della Pennsylvania. André usa sonorità settantiane durante l’assolo di tastiera che – a mò di hammond – si inserisce tra le note intense della chitarra. La maestosa “Tearing Down The World” viaggia spedita, esaltando ed esaltandosi su sonorità neoclassiche lungo cinque minuti di assoluto splendore tra cori sfarzosi, cambi di ritmo ed aperture di tastiera che non lasciano scampo. È poi il piano del sempre protagonista Andersen ad aprire la via al midtempo “Message To God”, dove basso, chitarre e tastiere viaggiano a braccetto addentrandosi in territori progressivi che arrivano fino ad un refrain dove si elevano i classici cori celestiali – che presentano anche voci femminili – marchio di fabbrica della band danese. La lenta “Long Way Home” entra nel firmamento delle canzoni più eleganti e sognanti della decade dei Novanta; strumenti a fiato, archi e la chitarra acustica del bravo Jacob Kjaer accompagnano l’interpretazione magistrale di DC alla voce. Le orchestrazioni si fanno più maestose, così come i cori. Durante la fase centrale, entrano in campo le chitarre elettriche e la batteria tuonante di Allan Sørensen (musicista presente come ospite), fino ad un finale in gran crescendo. La suite “Time Will Tell” si dilunga per oltre nove minuti tra passaggi massicci ed orchestrali, con riff di chitarra che viaggiano decisi, ancora cori possenti ed anthemici che scorrono su fiumi in piena di tastiere ed una fase conclusiva dove spicca un elegante assolo di chitarra ben suonato da Jacob. “Silent Scream” è probabilmente il pezzo più roccioso della tracklist, con riff costanti che viaggiano circondati da una montagna di cori solenni, tra i quali si stampa la voce portentosa di Cooper che alza i decibel tuonando con fermezza. Ancora tappeti di tastiera che si innalzano pomposi e sfarzosi durante l’imponente midtempo “It’s Over”, che chiude l’ascolto lasciando il segno grazie a cori grandiosi ed una sessione strumentale che ammalia alternando passaggi acustici ed orchestrali per poi tuffarsi su un turbinoso assolo ai tasti d’avorio del solito André Andersen.
Un disco per palati fini, suonato e interpretato divinamente; “Paradox” è uno di quei lavori capaci di resistere nel tempo, dimostrandosi ad ogni passaggio nello stereo una autentica pietra miliare per quanto riguarda certe sonorità che si muovono con estrema eleganza tra progressive e neoclassic metal. I Royal Hunt non arriveranno mai al successo mondiale e resteranno per sempre nel limbo, e la loro carriera continuerà (e continua tuttora!) con altri buoni dischi, senza però mai raggiungere la perfezione contenuta nei regali cinquanta minuti scarsi di questo leggendario disco del 1997.