6.5
- Band: ROYAL THUNDER
- Durata: 00:59:10
- Disponibile dal: 03/04/2015
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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L’annessione dei Royal Thunder al roster Relapse nel 2012 aveva rappresentato, da parte della prestigiosa label statunitense, il tentativo di salire sul carrozzone dell’hard rock psichedelico, trend imperante allora e apparentemente non ancora esaurito. “CVI”, esordio della band di Atlanta, aveva ricevuto generalmente buoni riscontri, forse fin eccessivi per la qualità di un’opera solida e contenente un lotto di canzoni piacevoli e accattivanti, ma non così trascendentali da elevarsi dalla media del settore. Ora con “Crooked Doors” i ragazzi di Atlanta provano a dare nuovo impulso alla loro carriera, in un sottogenere al momento a dir poco intasato di realtà con una passione smodata per amplificatori Orange, effettistica space, riffoni abbathiani drogati fino all’overdose, fuzz a tutto spiano e bordate blues a destra a e manca. Un dato degno di nota, e in partenza foriero di un sommesso encomio da parte di chi scrive, è la mancata aderenza dei Nostri a una scuola di pensiero consolidata; difficile di primo acchito rilevare grosse somiglianze ad altri ensemble coevi, e il motivo principale è l’allontanamento piuttosto marcato dall’hard’n’heavy. Per certi versi già l’esordio, molto ossessionato dai Led Zeppelin, aveva una leggerezza di fondo che li collocava un po’ in disparte anche rispetto a chi, come gli Uncle Acid & The Deadbeats o i Kadavar, pur rimanendo su terreni hard rock tende a picchiare duro senza troppe remore. I Royal Thunder contaminano di abbondanti dosi di folk e blues la propria musica, e per non disperdere quanto creato e ridurlo a mero orpello si presentano con una produzione gentile, garbata, che se ne frega altamente della pesantezza e mira platealmente a sottolineare l’operato di ogni strumento messo in campo. Il tono generale è idillico, ci si immerge a partire dalle prime note in un mondo quasi fiabesco e ricco di colorazioni distensive. Ogni pezzo tende a disperdersi in una dilatazione senza tempo, a sfumare e correre via in una poesia suadente ma un po’ effimera. La protagonista, la roccia a cui aggrapparsi anche sulle partiture un po’ giù di corda, è la voce della brava singer Mlny Parsonz. Ella si sbatte come una disperata per non far calare mai l’attenzione sotto una certa soglia, si destreggia benissimo tra vocalizzi rasserenanti e urla ribelli. Un po’ cantautrice, un po’ rocker bastarda, con la prima incarnazione ad aver in ogni caso la meglio nell’economia generale di “Crooked Doors”. Una prova vocale tanto accorata e impegnata non può però coprire tutte le mancanze, compositive più che altro, della band: la struttura molto labile dei brani ha il pregio di consentire un’invidiabile libertà di azione, peccato che questa non venga sfruttata appieno. In molti casi, ad un avvio promettente si accompagna un afflosciamento, un intorpidimento delle trame fino ad andamenti quasi da ninna-nanna. E’ il caso di “Wake Up”, con l’ossessionante salita a spirale della voce della Prasonz che, arrivata in cima a questa piramide emotiva, si trova a muoversi in un piana sonora gradevole ma povera di grinta. Oppure a “The Line”: tale episodio suona come un fragile origami, bello a vedersi ma incapace di reggere gli urti, le avversità, trattandosi di musica soprattutto incapace di tenere vivo l’interesse per l’intero minutaggio. Come altri pezzi, contiene buone idee, sviluppate con un’accortezza che sfocia nel timore, nella paura di osare. Non che siano scarsi, i Royal Thunder, canzoni del calibro di “Floor”, più ritmata e vitale della media, o “Glow”, dove il profluvio di arpeggi, calde linee di basso, voci un po’ serene e un po’ spiritate strega l’ascoltatore senza dover ricorrere a grandi strappi di sapore hard rock, non le scrivono proprio tutti. Rispetto al piano di battaglia che avevano in mente, crediamo che questi rocker statunitensi abbiano fatto tutto a puntino: l’atmosfera dolcemente fumosa, incantata, si avverte distintamente per l’intero minutaggio, vi è una coerenza intrinseca nell’intera opera che non va presa affatto sottogamba. Se ci si aspettava un avvincente disco hard rock, allora il discorso cambia: i voltaggi sono molto bassi, liquide melodie spadroneggiano sulla chitarra distorta, illanguidendo e vaporizzando ogni passaggio anche quando un po’ di energia sarebbe necessaria e gradita. Se guardiamo ai gusti personali, si confessa che difficilmente si andrà a riascoltare nell’immediato futuro quest’album; guardando un po’ più in là, e cercando di mantenere un minimo di oggettività, cosa ardua nella musica, che poco si presta di per sé a essere giudicata in maniera asettica, allora una sufficienza piena “Crooked Doors” se la può portare a casa.