ROYAL THUNDER – Rebuilding The Mountain

Pubblicato il 27/06/2023 da
voto
7.5
  • Band: ROYAL THUNDER
  • Durata: 00:40:04
  • Disponibile dal: 16/06/2023
  • Etichetta:
  • Spinefarm

Spotify:

Apple Music:

Collassati come band all’incirca nel 2018, prima che il mondo stesso prendesse la piega del fragoroso disastro pandemico, i Royal Thunder con “Rebuilding The Mountain” si danno una seconda chance. Non siamo tanto noi a dirlo, quanto loro a dichiararlo, confessando di essersi sciolti per dipendenze varie e attriti che avevano rovinato qualche anno fa i rapporti tra i diversi membri. Nel 2020, dopo un paio d’anni lontani, la cantante/bassista Mlny Parsonz e il chitarrista Josh Weaver hanno riallacciato i rapporti con il batterista Evan Diprima, col quale il dialogo si era interrotto da qualche tempo. Da lì è iniziato un processo di progressiva risalita, con uno scambio di idee fattosi sempre più fitto, fino a sfociare nel quarto album della band.
Li avevamo lasciati nel 2017, con “WICK”, finalmente maturi e consapevoli di quello che sapevano fare meglio, ovvero un hard rock settantiano (Led Zeppelin quale influenza primaria), sanguigno, sufficientemente sporco e selvaggio ma intriso di poetica sudista, plumbea oscurità quanto basta, melodie avvolgenti e graffianti linee vocali al femminile. Un salto in avanti, dopo due dischi, “CVI” e “Crooked Doors”, dalle idee discrete ma in fondo prolissi, ridondanti e inoffensivi. Questo ritorno discografico li ritrova invece in continuità col materiale di “WICK”, chiaro segnale che quando si è deciso di riattaccare la spina, i musicisti americani l’hanno fatto al momento giusto, di nuovo carichi e lucidi nel maneggiare la loro arte.
Così, con quel carico di introspezione frutto di ferite, dolori e riflessioni sui propri errori e come vi si potesse porre rimedio, “Rebuilding The Mountain” va probabilmente a definirsi come la miglior pubblicazione offerta finora dal gruppo. “Drag Me” è un’opener perfetta cartina di tornasole dello stato d’animo del trio: nessun desiderio di compiacere, solleticare divertimento, provocare sing-along. Al contrario, la musica si dipana morbida, sonnecchiante, tra arpeggiati gradevoli, note di tastiera flebilmente vintage, il rintocco secco e monocromatico della batteria, la voce ancora più ammaliatrice della Parsonz. Convogliano nella dimensione attuale dei Royal Thunder caratteristiche trasversali, andamenti leggeri e onirici che si trasmutano in scampoli di ruvidezza presto sedati, secondo un andamento a cavallo tra vecchio progressive e occult rock. È un suono caldo, composto e straripante tanti piccoli dettagli, asciugato di propaggini metal moderne e desideroso di testimoniare l’aderenza a un ecosistema hard rock d’altri tempi, senza rinunciare a creatività e tumulti dell’animo.
Le tonalità alla Janis Joplin della Parsonz si adattano a un percorso sonoro che, volendo restare ai contemporanei, guarda a compagini come Jess And The Ancient Ones e Rival Sons, prendendo dai primi l’effervescenza ritmica e gli arrangiamenti multicolori, dai secondi il feeling chitarristico e la prorompente emotività della chitarra solista. La tracklist, alla prima impressione, potrebbe sembrare un poco ermetica, chiusa su se stessa, proprio perché non vi cono ritornelli a effetto o muri di suono che possano assuefare in pochi istanti. Meglio così, perché non bisogna nemmeno aspettare troppo per cadere succubi delle spirali della doomeggiante (e orrorifica) “Now Here-No Where”, o dell’intristito rock-blues di “Pull”.
I Royal Thunder, nell’arco del disco, tengono costantemente a freno la distorsione, fanno dialogare morbidamente sintetizzatori e chitarra, prediligendo note cariche di un dolceamaro sentimento; una mestizia di fondo che non diventa mai sconforto, ci porta piuttosto in ambientazioni rarefatte, con l’anima rock della formazione a illanguidire fino a sfumare, impercettibilmente, in un crooning molto americano e contagiato dal folk (“Live To Live” ne è la migliore esemplificazione). Anche quando i ritmi paiono farsi incalzanti (“My Ten”) è l’elaborata malinconia a prendere il sopravvento, a farsi strada tra i graffi vocali e l’immaginifico turbinare delle tastiere. Qualche ripetizione sul finale, con le comunque buone “The King” e “Dead Star”, non toglie poi molto a un ritorno sulle scene pieno di inventiva, passione e sincerità, per una formazione che ha saputo combattere i propri demoni, averne la meglio e rifarsi viva più preparata e brillante che mai. Bentornati.

TRACKLIST

  1. Drag Me
  2. The Knife
  3. Now Here No Where
  4. Twice
  5. Pull
  6. Live To Live
  7. My Ten
  8. Fade
  9. The King
  10. Dead Star
0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.