6.0
- Band: RUNNING WILD
- Durata: 00:55:39
- Disponibile dal: 29/10/2021
- Etichetta:
- Steamhammer Records
- Distributore: Audioglobe
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Quando si parla di Running Wild e del capitano Rock’n’Rolf, si parla di una band e di un personaggio dal sound e dallo stile inconfondibili. Oltre quarant’anni di carriera, un considerevole numero di ottimi album tra gli anni Ottanta e Novanta e un’enorme influenza su più generazioni di band classic, speed e power metal. Nel 2000, con la separazione della formazione che aveva realizzato “The Rivalry”, il gruppo iniziò a perdere elementi e imboccò una lunga discesa anche a livello compositivo: lo scioglimento del 2009 e il ritorno sulle scene solo due anni dopo con il pessimo “Shadowmaker” furono il fondo di quella involuzione. Da lì in poi Rolf ha condotto il gruppo come un progetto solista ed è riuscito piano piano a rialzare la testa, dapprima con “Resilient” del 2013 e poi con “Rapid Foray” del 2016, un disco quest’ultimo lontano dai fasti del passato ma che si lasciava ascoltare e faceva ben sperare per il futuro.
Cinque anni dopo arriviamo al nuovo “Blood On Blood”, un album che purtroppo interrompe quella ripresa, deludendo in buona parte le aspettative. Se il songwriting in qualche caso è convincente, come la riffatissima titletrack posta in apertura, o la lunga, conclusiva ed epica “The Iron Times (1618 – 1648)”, non possiamo fare a meno di notare negativamente vari brani scialbi e destinati ad essere saltati ad ogni ascolto. Parliamo soprattutto delle scarsissime “One Night, One Day” e “Wild, Wild Nights”, due pezzi hard rock che lo stesso Rolf definisce ‘party songs’ ma che non hanno nulla a che vedere con le vere tracce di questo tipo composte da innumerevoli (e vere) formazioni hard rock nei decenni passati. Qui purtroppo ci troviamo di fronte ritornelli di scarsa ispirazione e riff che non lasciano assolutamente il segno. Abbiamo poi alcuni brani senza infamia nè lode come “Say Your Prayers” o “Wild & Free”, dalle linee vocali poco incisive, ed invece altri, come la già edita “Crossing The Blades” o i due singoli “The Shellback” e “Diamonds & Pearls”, che risultano tutto sommato gradevoli e nel classico stile della band, ma che con il loro incedere cadenzato un po’ troppo ‘stanco’, appaiono inoffensivi al punto che qualche fan si è divertito ad aumentare la velocità di riproduzione, ottenendo anche un risultato migliore dell’originale. Su tutto però pesa ancora una volta l’enorme macigno della produzione di basso livello: suoni di chitarre scarni e quasi ‘da demo casalinga’, per non parlare poi di una batteria con un suono in più casi troppo artificiale e dal rullante a dir poco fastidioso. Nel 2021 autoprodurre un disco, nel proprio studio e con il proprio computer, sappiamo bene come possa essere una cosa fattibilissima, ma se il nome in questione è quello di una delle band di punta del metal europeo, bisogna saperlo fare a un livello consono. In definitiva un album con sì qualche momento di luce, ma offuscato da una serie di ombre che lo rendono forse appetibile solo ai fan più accaniti del gruppo.
