RUNNING WILD – Port Royal

Pubblicato il 11/01/2018 da
voto
9.0
  • Band: RUNNING WILD
  • Durata: 00:44:15
  • Disponibile dal: 26/09/1988
  • Etichetta:
  • Noise Records
  • Distributore: EMI

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“You wanna know where you are? Ah ah! In Port Royal!”

E’ la voce di Rock ‘n’ Rolf, arrochita dal whiskey, ad accoglierci abbaiando in un sottofondo di cagnara andante – facendoci sentire un po’ degli imberbi Jim Hawkins tra sordidi bucanieri – e ad aprire uno dei dischi-simbolo dei quattro di Amburgo. E’ il 1988, i Running Wild hanno issato l’anno precedente la propria bandiera urlante ‘Pirati!’ con il filibustiero “Under Jolly Roger” e, con in tasca la lettera di corsa della tedesca Noise Records, sono lanciatissimi nel mare dell’heavy metal assetati di successo, pezzi da otto e riff. Mentre una timida band di Krefeld, che molto farà parlare di sè nei prossimi anni, si affaccia al mondo con “Battalions Of Fear” ed escono capolavori quali “In Battle There Is No Law”, “Leprosy”, “…And Justice For All” e “Blood Fire Death”, il finire degli anni Ottanta segna il trionfo (e forse anche l’inizio della discesa?) di quella particolare declinazione di heavy metal imbastardito col thrash fatta di riff sparati velocissimi, loghi acuminati, acciaio, borchie e generale mancanza di sobrietà. Sembra ovvio che sia con questi materiali che i Running Wild abbiano costruito la polena della loro nave, pronti a speronare chiunque osi attraversare la loro rotta… e ci riescono benissimo. Questo disco infatti è un piccolo gioiellino in grado di tener testa ai mostri sacri del genere con cannonate assestatissime (“Mutiny” sembra perfetta per scandire la navigazione da combattimento di qualsiasi imbarcazione salpata dalla baia di Tortuga) ed un timone retto dal rossocrinito Mr. Kasparek in stato di grazia. Il suo inconfondibile timbro, sguaiatamente sonante, cavalca i marosi delle chitarre lanciate a velocità da headbanging furioso di “Raging Fire” e “Warchild” (anthem di chissà quanti giovani bellicosi in chiodo e anfibi), tiene la rotta con il piglio saldo dell’Olonnais sui ritmi vorticosi ed incalzanti di Jens Becker e Stefan Schwarzmann, capaci di mettere in piedi un intermezzo strumentale come “Final Gates”, talmente azzeccato per groove, assoli e armonia da avere ben pochi rivali. Non fanno prigionieri, i quattro tedeschi, con l’arroganza spavalda dei vincitori, facendo tuonare a metà disco uno dei pezzi più esaltanti della loro intera discografia: quella “Conquistadores” che – abbinata con “Uaschitschun” per tematiche e bellezza – sputando veleno e rabbia con un mirabile intreccio di chitarre classicone e una sezione ritmica incazzatissima, crea un pezzo in grado già dal primo ascolto di farci spellare le mani dagli applausi. “Port Royal” porta i suoi trent’anni di carriera sulle spalle senza accusare un minimo di stanchezza; nemmeno brani leggerissimamente meno sfolgoranti come “Into The Arena” o la maideniana “Blown To Kingdom Come” – ascoltata oggi come allora odora di quel fresco menefreghismo che ci rende i fratelli della Filibusta così drammaticamente affascinanti – ne appannano l’aura da grande classico. Perchè, se ci pensate bene, come la Port Royal del XVII secolo era ‘il grido di libertà sul mare’ (parafrasando la titletrack), che cosa è l’heavy metal se non un liberatorio, violento urlo di ribellione contro i gravosi dettami della società, una guerra di corsa fatta di note pesanti e graffianti, un corroborante arrembaggio al dogmatismo e alle costrizioni? Chi di noi non ha trovato in questa musica un po’ di combustibile per mantenere accesa quella fiamma interiore che ci spinge a lottare a muso duro contro la vita opprimente? Chi di noi, ascoltando questi quarantacinque minuti scarsi di heavy metal indiavolato e strafottente, non ha alzato il volume dello stereo a livelli da denuncia ghignando come Edward Teach davanti ad una nave della Marina americana? E’ lo stesso John Rackham, nella suite finale che porta il suo nome di battaglia, a ribadircelo parlandoci dal patibolo e ridendo beffardo. Vi sfidiamo, davanti alla fiera capitolazione del pirata e alla conclusione al fulmicotone di un album del genere, a non togliervi il cappello con la solenne stima tipica dei lupi di mare. I Running Wild hanno composto opere più rifinite ed articolate (di cui emblema è il magistrale “Pile Of Skulls”), sono naufragati nei marosi dell’ultimo decennio (uno show di addio, un’improbabile reunion, un paio di album spenti e privi di mordente), ma confidiamo nel fatto che – con l’ultima fatica in studio – riescano presto a ritrovare la via per tornare a guidare gli equipaggi di metallari a gozzovigliare di nuovo nelle bettole di questo Bellissimo “Port Royal”.

TRACKLIST

  1. Port Royal
  2. Raging Fire
  3. Into The Arena
  4. Uaschitschun
  5. Final Gates
  6. Conquistadores
  7. Blown To Kingdom Come
  8. Warchild
  9. Mutiny
  10. Calico Jack
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