7.0
- Band: RUXT
- Durata: 00:57:55
- Disponibile dal: 01/12/2020
- Etichetta:
- Diamond Productions
- Distributore: Goodfellas
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Quarto album per i liguri Ruxt, band composta da musicisti di comprovata classe ed esperienza, che intitolano questo nuovo lavoro “Labyrinth Of Pain”. Rispetto al precedente “Back To The Origins”, si possono riscontrare alcune novità di rilievo e la prima a balzare subito in evidenza è la presenza di un nuovo cantante, K-Cool, che sostituisce Matt Bernardi. La voce del nuovo singer è certamente alquanto particolare: alta e graffiata, ci ricorda quella di Tom Keifer, ma nei pezzi più blueseggianti potrebbe far pensare, in alcuni passaggi, al giovane Robert Plant. Ad ogni modo, al di là di paragoni vari, si tratta di una scelta che in qualche misura incide anche sullo stile della band, che sembra meno portata a proporre brani veloci e aggressivi, puntando maggiormente su un sound elegante e carico di feeling. Con questo non intendiamo dire che i Ruxt optino per un sound soft o senza mordente: al contrario, non mancano riff decisi e carichi di groove, ma il duo chitarristico composto dagli ottimi Stefano Galleano e Andrea Raffaele non cerca la potenza a tutti i costi, di fatto completandosi a vicenda nel ricoprire una vasto spettro di suoni ed influenze, capace di rendere il loro stile quanto mai ricco e coinvolgente. Restano certamente echi dei loro classici riferimenti (tra cui Led Zeppelin, Rainbow e Whitesnake) e di tanto in tanto emergono venature blues ma, in generale, il sound si emancipa da queste fonti d’ispirazione, virando maggiormente verso un hard rock melodico e raffinato, con qualche puntatina verso il metal (potremmo dire con riferimenti a varie band come Gotthard, Victory, Cinderella, Kingdom Come, ecc.). Certo, va anche detto che la sensazione è che il nuovo cantante non sia sempre a proprio agio proprio in tutti i brani: in tal senso, può darsi pure che qualche canzone, come spesso accade in questi casi, sia stata scritta senza sapere chi ci sarebbe stato dietro i microfoni. Al di là delle supposizioni, sta di fatto che, se in alcuni frangenti questo connubio funziona in maniera eccezionale, in altri ci ha lasciati un po’ perplessi e su questo, a nostro avviso, la band dovrà lavorare per le future produzioni.
Una menzione speciale merita invece la traccia conclusiva, “Butterflies”, interamente strumentale e lunga addirittura oltre nove minuti: si tratta di un brano fortemente incentrato sulle chitarre, che qui più che mai puntano appunto sulla forza emotiva che riescono a trasmettere che non sulla potenza. Insomma, i Ruxt si dimostrano una band in costante evoluzione, ma che, ancora una volta, riesce a proporre un disco alquanto vario e per nulla scontato, esaltato dalla bravura di musicisti di comprovata esperienza, come i due chitarristi già menzionati o lo stesso Steve Vawamas (Athlantis, Mastercastle, Odyssea, Bellathrix), che si è occupato peraltro anche delle registrazioni e del mastering nel suo studio personale.