
7.0
- Band: SACRED STEEL
- Durata: 00:49:18
- Disponibile dal: 25/04/2025
- Etichetta:
- ROAR! Rock Of Angels Records
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Quando si pensa ai Sacred Steel, viene facile andare con la mente agli albori della band, quando il suo nome era sinonimo di ‘true metal’ purissimo pralinato d’acciaio. Nell’immaginario di molti, la band tedesca è ancora quella del fulminante debutto “Reborn In Steel” o del successivo “Wargods Of Metal”, tutta metallo fuso e urla lancinanti (grazie al caratteristico timbro vocale del cantante Gerrit Mutz); ma la verità è che i Sacred Steel, negli anni successivi, hanno saputo affrancarsi dai confini stilistici in cui loro stessi si erano andati a incasellare, indurendo il proprio suono e arrivando non solo a lambire, ma addirittura ad abbracciare quasi in toto le arcigne sonorità care al thrash metal tedesco, codificato da leggende quali Kreator, Destruction e Sodom (come accaduto nell’album “The Bloodshed Summoning” del 2013, salvo poi fare parzialmente marcia indietro nel successivo “Heavy Metal Sacrifice” del 2016).
Come suonano quindi i Sacred Steel nel 2025, a ben nove anni di distanza dall’ultimo full-length?
Suonano come un mix di tutto quanto fatto nel corso della loro carriera, quindi heavy metal arcigno dai palesi rimandi classici reso ancora più duro e cupo da un approccio thrashy che la band non fa assolutamente nulla per nascondere, ben capeggiati da un Gerrit Mutz che, nel tempo, ha abbandonato in larga parte le urla belluine della prima ora per adattarsi – con ottimi risultati – allo stile più violento nel quale la band si è evoluta nel corso degli anni.
Il nuovo nato, “Ritual Supremacy”, si apre subito con la dichiarazione di intenti della title-track, e nel giro di una strofa, un bridge e un ritornello ci fa capire quale sia l’andazzo generale, fra riff e voci in grado di ricordarci il succitato thrash teutonico anni ’80 (con la voce del buon Gerrit che si avvicina molto a quella degli allora giovani Mille Petrozza e Tom Angelripper) e aperture dai connotati più classicamente metallici, benché adeguatamente incupite.
Il risultato, a onor del vero, è un po’ legnoso, ma garantisce comunque discrete scapocciate senza pretese. La successiva “Leather, Spikes And Chains”, come si evince facilmente dal titolo, è invece molto più vicina all’anima ‘defender’ dei Sacred Steel, con tanto di stacco epico a metà brano e rimandi agli Accept più classici qua e là.
L’intero album si muove un po’ su questi binari, alternando di volta in volta brani più thrashy, come ad esempio l’orrorifica “A Shadow In The Bell Tower” o la sulfurea “Demon Witch”, ad altri dal suono più cromato, come “The Watcher Infernal”, la lunga e gagliarda “Entombed Within The Iron Walls Of Dis” o la ‘priestiana’ “Omen Rider”, mentre la tetra “Bedlam Eternal” e la composita “Covenant Of Grace” invadono addirittura i territori epic/doom tanto cari ai Candlemass; una scelta che sicuramente non aiuta a dare compattezza al risultato finale, laddove una separazione meno netta delle due anime della band avrebbe dato senza dubbio più coesione al tutto.
In soccorso dei Nostri arriva però l’evidente, assoluto, amore per la propria musica e il palpabile ‘orgoglio metallico’ che traspare da ogni loro canzone (unitamente a una capacità di scrittura molto efficace, figlia di lunghi anni di esperienza): “Ritual Supremacy” è il classico album ‘onesto per antonomasia’, consapevolmente privo della benché minima ambizione di voler cambiare la storia del metal e, forse anche per questo, capace di risultare coinvolgente al di là si ogni critica gli si possa muovere (anche perché, compositivamente e tecnicamente, è comunque realizzato con tutti i crismi).
Se cercate una cinquantina di minuti di heavy/thrash battagliero, ruspante e senza fronzoli, dategli un’occasione.