7.0
- Band: SACRI MONTI
- Durata: 00:37:08
- Disponibile dal: 26/07/2024
- Etichetta:
- Tee Pee
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Poche cose sono certe nella vita, e una di queste è che quando una band esce sotto Tee Pee Records si tratta sempre di cose interessanti da ascoltare e seguire, almeno per chi apprezza le sonorità acide e psichedeliche.
“Retrieval” non è però un debut album per i Sacri Monti, ma il terzo disco che, a nostro parere, conferma la formazione californiana come una delle realtà heavy-psych più interessanti d’oltreoceano, dopo l’ottimo debut e “Waiting Room For The Magic Hour”, del 2019.
Formatisi nel 2012, i cinque musicisti facenti parte del progetto hanno avuto sin da subito chiare le idee, in termini di bacino da cui pescare: i primissimi Deep Purple, Hendrix, gli Hawkwind, una spruzzata di Funkadelic e via discorrendo, per un cocktail di mescal e virtuosismo che alla lontana ricorda i recenti Graveyard e i Church Of The Cosmic Skull.
La cosa che sicuramente salta subito all’orecchio è l’abile intreccio dell’hammond di Evan Wenskay e delle chitarre di Delklar e Thomas DiBenedetto, capace di rendere pezzi come “Maelsrom” dei vortici colorati a cui abbandonarsi, anche se il meglio di questi quaranta minuti scarsi di musica viene dalla bellissima “Intermediate Death” ed il suo carico di echi lontani di primi Uriah Heep. La ripetizione di trame sonore alternate a sfuriate distorte è uno dei cavalli di battaglia del quintetto, con la voce di Brenden Dellar che, ricordando alla lontana Robert Plan, rende il tutto ancora più intrigante e blueseggiante, come se fossimo in mezzo alle nebbie cariche di zanzare e hoodoo di una bayou.
Non mancano poi i momenti più sbarazzini, come l’assolo di “Brackish/Honeycomb” a richiamare la struttura proprio di un alveare e costruire un intermezzo di pura jam tra percussioni, chitarre e hammond, dando poi spazio alla viaggiosa “Moon Canyon”, rigorosamente da assaporare con pipa indiana alla bocca.
La formula, rispetto ai dischi precedenti, non cambia molto, anche se ci sembra che “Retrieval” presenti dei toni un po’ più oscuri dei suoi predecessori.
Il lavoro si chiude sulle note di “More Than I”, ben nove minuti dove si alternano e si rincorrono schiarite su praterie infinite e tempeste più dirette verso l’ascoltatore: un brano sicuramente molto debitore verso quanto lasciato come eredità dai Led Zeppelin, ma che non dimentica il caldo valvolare degli Hawkwind, caratterizzato da un abile lavoro di arpeggi di chitarre e da un riff portante psichedelico quanto basta.
L’unico vero punto a sfavore del lavoro è la sua scarsa durata: solo sei pezzi di cui quello appena citato, che pure si mangia un quarto di minutaggio: forse avremmo preferito ascoltare qualche altra canzone onirica e sciamanica e invece rimaniamo con una sorta di languorino di fondo, ma se stavate cercando il disco psichedelico ideale per grigliate e per la spiaggia, l’avete trovato.