7.5
- Band: SADIST
- Durata: 00:45:44
- Disponibile dal: 16/10/2015
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Da dove cominciare? È proprio questa la domanda che ci perseguita da quando abbiamo inziato ad ascoltare “Hyaena”, la settima fatica in studio dei Sadist. Quale aspetto mettere subito in risalto nel cercare di analizzare in maniera seria e obiettiva questo lavoro? E credeteci se vi confidiamo che non è facile cercare di non apparire come dei fan boy invasati quando, per presentare un disco del genere a un amico o un conoscente – svestendo quindi per qualche secondo i panni dello scribacchino amatoriale – ci servirebbero quattro semplici parole: “è una figata, ascoltalo!” Quindi per una volta abbiamo deciso di prenderci la libertà di iniziare dalle conclusioni svelandovi subito che probabilmente questo è il miglior disco della seconda parte della carriera del gruppo ligure. I Sadist, autori da sempre di un progressive death metal sporco di thrash e delle contaminazioni più disparate, oggi hanno dato alla luce un disco omogeneo, terribilmente ispirato, con grandi spunti melodici e tanti passaggi trascinanti, furiosi e sanguinari. Trevor, autore dei testi nonché indemoniato urlatore del gruppo, ha elaborato non solo un concept decisamente particolare, la iena, ma ha anche regalato una prova dietro al microfono maiuscola. Per raccontarci sia dell’animale stesso che di tutto il mondo di leggende di uno dei predatori più terribili, affascinanti e sconosciuti della savana, il corpulento frontman ha dato ampio sfoggio di grande versatilità tra scream urticanti, urla malefiche, interpretando le liriche in maniera davvero sentita ed efficace, diventando talvolta voce narrante e altre volte vero e proprio strumento ritmico. E poi ovviamente c’è il “solito” lavoro melodico del polistrumentista Tommy Talamanca che si destreggia tra chitarra, tastiere e produzione (sulla quale torneremo in un secondo momento) tessendo melodie e costruendo un impianto sonoro e ritmico, insieme a Andy e Alessio, solido e ben strutturato, con vuoti strumentali ridotti ai minimi termini e un bell’equilibrio tra un’apertura melodica e un riff martellante, un assolo sognante, un intermezzo tribale, una suite di basso e via dicendo. A questo proposito è ormai divenuto immancabile il lavoro di ricerca di nuovi strumenti e nuove sonorità da inserire e integrare nel sound dei Sadist per riempirlo ulteriormente, rendendolo esotico, etnico, tribale senza comprometterne mai la sua propria identità. La produzione, dicevamo, in un contesto di gruppi che giocano a suonare sempre più pulito, specialmente in questo genere di death metal tecnico e progressive… insomma, là dove oggi le produzioni puntano generalmente ad essere cristalline, bombastiche e, per lo più, impersonali, possiamo certamente dire che questo non è il caso dei Sadist, che mantengono un suono ruvido, graffiante, non propriamente sporco ma sufficientemente credibile per essere considerato death metal. Che i Sadist non siano un gruppo da un disco ogni due anni lo avevamo già capito, ma pare ormai chiaro che i quattro genovesi escano solo quando hanno qualcosa da dire: un atteggiamento più che apprezzabile, specie se i risultati sono questi.