SAINT VITUS – Born Too Late

Pubblicato il 11/06/2020 da
voto
9.0
  • Band: SAINT VITUS
  • Durata: 00:34:57
  • Disponibile dal: 01/10/1986
  • Etichetta:
  • SST Records

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“Born Too Late” è uno di quei dischi che, forse, non andrebbero ascoltati quando ci si sente tristi o malinconici, per l’intensità della musica e dei testi che trasudano – probabilmente come non mai nella carriera dei doomster californiani – disperazione ed estraneità alla vita. Verso la fine del 1986 (uno di quei periodi magici per la musica metal, in cui ogni uscita sembrava perfettamente ispirata), anche i Saint Vitus diedero alle stampe quello che, con pochi dubbi, resta il loro capolavoro. Nonostante fosse il primo disco con Wino alla voce, una voce che darà un tocco unico al suono del gruppo, qualche tocco di Scott Reagers è ancora presente, su tutti il testo della titletrack: un manifesto di distacco e rifiuto della vita comune, con tutte le difficoltà che comporta nel giudizio altrui, qualcosa di vagamente simile a “Turn The Page” di Bob Seger. La non appartenenza, il non voler essere come gli altri, il rifiuto all’omologazione – costi quel che costi – hanno per i Saint Vitus una ben precisa spiegazione, che la voce di Wino ci urla con rabbia, frustrazione e rassegnazione: essere nati troppo tardi.
Così inizia il viaggio, in tutti i sensi, fatto di un doom sulla scia dei Black Sabbath più lenti e acidi, guidato dalla chitarra inconfondibile di Dave Chandler con un sound che, nella sua semplicità (accordatura in MI, alti praticamente assenti e bassi spinti al massimo, una Gibson e un Marshall), è ancora oggi uno dei più imitati nel genere. Il primo lato di “Born Too Late” sembra quasi un’unica rappresentazione di uno stile di vita e, se i Saint Vitus iniziano raccontandoci la determinazione e, soprattutto, la difficoltà di chi nasce in un tempo che non sente appartenergli, ecco che in “Clear Windowpane” proprio Chandler prende la penna e ci spiega la sua ‘ricetta’ per sopravvivere, una ricetta fatta di colori nel buio, una casa dove tutto risplende, draghi purpurei che fumano con lui e amici che solo lui può vedere. Ma parole e musica sono ricche di un sottotesto esplicitato nella strofa finale in cui, con tristezza, scoppia l’ammissione: la razza umana è difficile da affrontare e questa ‘dimensione’ è l’unica che riesce a rendere libero Dave (o chi vive le sue stesse emozioni). Con “Dying Inside”, il trittico di partenza prende tinte ancora più cupe: la consapevolezza dell’autodistruzione si fa strada, introdotta da un riffing che potrebbe tranquillamente essere stato composto da Iommi. La vera disperazione si apre come un abisso, la voce di Wino (che condivideva gli stessi ‘demoni’ di Chandler) è perfetta nell’interpretazione, così come il dilaniante assolo che, dalle atmosfere vagamente acide del pezzo precedente, ci colpisce con la forza di una disperata coscienza di sé (“I can’t control my addiction / I’ve tried time and time again / I’m losing all my friends and lovers / alcohol knows it’s gonna win”). Così, con una certa fatica e reticenza, giriamo il disco sul piatto: la prima metà di “Born Too Late” ha un’intensità che colpisce forte e fa male come una crisi di astinenza, dove musica e testi sono un tutt’uno inscindibile. Non possiamo non chiederci se reggeremo la seconda parte.
Si inizia con “H.A.A.G.”, l’unico altro brano il cui testo non è stato scritto da Chandler, musica e tematiche restano cupe ma il tiro è più aggressivo, velato più da risentimento e odio: meno introspettivo, forse, ma di certo non meno potente. Anche la struttura delle canzoni si fa più articolata, Wino ha un cantato più aggressivo e qualche uptempo si affaccia nelle ritmiche. Intendiamoci, non siamo davanti a qualcosa di diverso, ma le stesse sensazioni vengono espresse con colori più visionari e metaforici. Il giro di basso che apre “The Lost Feeling”, però, ci ritrascina nel turbine malato e lisergico del primo lato del disco: dopo aver attraversato il distaccamento dal mondo, la fuga da esso e la tetra consapevolezza della strada verso l’autodistruzione, arriva lo stadio successivo, la depressione. Ancora una volta è l’angoscia a farsi strada, mentre il basso insiste su una linea semplice che quasi domina il pezzo con la sua ineluttabilità, quasi a ricordare che i demoni interiori sono sempre presenti, sempre in agguato, sempre pronti a colpire. Resta, soprattutto sul finale, con la risata di Wino e l’assolo di Chandler, una sorta di piglio più irriverente, ma il pulsare del basso nelle tempie e nella pancia ci ricorda costantemente cosa ci stanno dicendo i Saint Vitus. E’ il turno di “The War Starter” e la band abbandona le tematiche più intimiste per una canzone che, a livello di tematiche, si trova a metà strada tra “War Pigs” e “Orgasmatron”: è forse il pezzo più Seventies di tutto il disco, ma resta ben ancorato al sound doom metal, e l’approccio tipico alla Saint Vitus arriva dal solo di Chandler, che cresce insieme alla batteria di Acosta fino a raggiungere, nuovamente, un uptempo mitigato dal riffing cadenzato e ossessivo, che poi ripiomba nella lentezza tipica del genere e ci ritrascina in atmosfere sabbathiane.
Trentacinque minuti sono passati da quando “Born Too Late” è iniziato, ma sembrano molti di più per la sua intensità, il suo suono sfibrante in modo disperato e la potenza lirica dei testi (se avete tra le mani la versione CD o quella che si trova in streaming oggi, noterete tre tracce in più che sono, in realtà, l’EP “Thirsty And Miserable”, uscito verso la fine del 1987). Per molto tempo i Saint Vitus hanno faticato a farsi strada, tanto da arrivare a sciogliersi nel 1991 e nel 1996; forse il look vagamente hippy di Chandler o forse un sound che, in quegli anni, sembrava superato, ha scoraggiato a lungo etichette e fan; oggi, senza paura di sbagliare, possiamo annoverare i Saint Vitus tra le cult band e questo “Born Too Late” è probabilmente il loro disco più intenso – lo stesso Chandler dirà, anni dopo, di averlo composto in uno dei momenti più difficili della sua vita. Di certo, se esistono il doom e tutti i suoi sottogeneri, lo dobbiamo ad alcuni pionieri dal sound ossessivo e corrosivo, musicisti cresciuti a pane e Black Sabbath, che hanno visto nascere il metal e lo hanno incorporato in modo massiccio nella loro proposta musicale. Per noi ascoltatori, i Saint Vitus non sono certo ‘nati troppo tardi’, anzi: sono stati precursori e visionari che hanno realizzato, col tempo, quante band avessero influenzato e raccolto ciò che avevano seminato, occupando il posto che gli spetta di diritto tra i Padri del doom.

TRACKLIST

  1. Born Too Late
  2. Clear Windowpane
  3. Dying Inside
  4. H.A.A.G.
  5. The Lost Feeling
  6. The War Starter
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