7.5
- Band: SAINT VITUS
- Durata: 00:46:26
- Disponibile dal: 17/05/2019
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Parlare di Saint Vitus equivale a tirare in ballo la storia del doom metal, la band di Los Angeles insieme a Pentagram, Candlemass e, ovviamente, i ben più famosi Black Sabbath può essere annoverata tra i nomi più importanti che hanno contribuito a dar vita ad un genere musicale unico e tuttora molto amato. Il nuovo disco, “Saint Vitus”, assume un valore simbolico molto importante, innanzitutto perché possiede lo stesso titolo del disco d’esordio, inoltre vede il ritorno al microfono del cantante originale Scott Reagers (in formazione dal 2015 dopo diciannove anni di lontananza dal gruppo). Un cerchio che si chiude, l’arrivo al tanto agognato traguardo e una nuova partenza per le prossime sfide musicali. Reagers insieme al leggendario Dave Chandler sanno il fatto loro, le nuove canzoni possiedono un sound molto classico che porta avanti una tradizione lunga quarant’anni. “Remains”, brano di apertura, è uno dei capitoli più canonici e squisitamente doom del disco, con le evocative parti vocali di Scott sorrette da riff che più classici si muore. Balza subito all’orecchio la produzione volutamente vintage che mette in primo piano la voce, mentre non esagera con le distorsioni sulle chitarre. Il tutto suona in modo molto analogico, si ha quasi l’impressione di aver messo sul piatto un vecchio vinile degli anni Ottanta. L’ascolto prosegue con “A Prelude To…”, un brano molto delicato, oscuro ed atmosferico che lascia presto spazio a due belle cannonate di heavy doom, “Bloodshed” e “12 Years In The Tomb”. Incalzanti, veloci, con cambi di tempo e fottutamente metal, questi due brani per chi scrive raggiungono l’apice per forza ed intensità di questo sorprendente “Saint Vitus”. Si ritorna su lidi più canonici con “Wormhole”, ma la formazione americana ha ancora un paio di sorprese con cui stupirci. La prima si chiama “Hour Glass”, dove si tenta un minimo di sperimentazione con un brano in pratica più parlato che cantato. La seconda sorpresa, nonché gran finale, arriva dritta con “Useless”, una composizione furiosa dove i Saint Vitus si divertono a suonare una sorta di punk/hardcore devastante e senza tanti fronzoli che inizia e finisce in meno di due minuti di durata. Con “Saint Vitus”, Dave Chandler e compagnia ripartono alla grande per un nuovo capitolo di un libro lungo quattro decenni e pieno di avventure, positive e negative. Fa però piacere che i nostri mantengano la loro coerenza e soprattutto riescano ancora a scrivere musica di ottima qualità che tiene alta la bandiera del doom metal. Un ritorno davvero interessante.