SANCTUARY – Into The Mirror Black

Pubblicato il 21/08/2021 da
voto
9.0
  • Band: SANCTUARY
  • Durata: 00:46:37
  • Disponibile dal: 27/02/1990
  • Etichetta:
  • Epic

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Grandi carriere appena abbozzate. Meteore sfavillanti, di una luce che si spegne troppo presto. Capolavori insperati, di successo molto relativo all’epoca dell’uscita, glorificati e rimpianti negli anni a venire. I tardi Anni ’80 – come ogni era metallica, del resto – si sono lasciati alle spalle polvere di stelle. Tra le compagini di qualità più pregiata, precursori cui il fato ha concesso onori sufficienti con la naturale prosecuzione del discorso primigenio, ovvero i Nevermore, non possiamo non annoverare i Sanctuary di Warrel Dane e Jim Sheppard. E di Lenny Rutledge, che ancora oggi porta avanti il nome del gruppo, dopo la prematura, dolorosa scomparsa dell’iconico singer. In attesa di capire cosa il futuro riserverà alla band, autrice nel 2014 dell’altalenante “The Year The Sun Died”, riesumiamo il frutto più maturo della sua breve carriera.
A due anni dal micidiale esordio “Refuge Denied”, punto d’incontro di anthem priestiani, trascinante power/thrash statunitense e una vena drammatica giù ben sviluppata, il discorso si complica e si irrobustisce, segnando un’evoluzione poi perfezionata qualche anno dopo sotto altro moniker. Andando in continuità con la malinconica copertina, i cinque intorbidano il nervoso heavy metal di “Refuge Denied”, fuggendo almeno in parte da quelle caratteristiche di gruppo ‘d’assalto’ che palpitava in brani taglienti e di impatto immediato come “Die For My Sins” e “Soldiers Of Steel”. Le velocità si abbassano, i riff si fanno meno arrembanti, ci sono arpeggiati tristerrimi e tremendi a gettare un velo oscuro su tutta la musica. Il clima è plumbeo, anche se ad arie vagamente dark si alternano, non in contrasto, quanto in prosecuzione e rilancio, fasi tesissime e muscolari. Non ci sono ammorbidimenti, in “Into The Mirror Black”, quanto una presa di coscienza di quello che il metal classico può comunicare, la scoperta di un canale interpretativo poco sfruttato, la possibilità di raccontare storie tormentate, nevrosi, preoccupazioni, senza doversi spostare su strutture ipercomplesse e di impronta prog. Almeno, non corrispondendo a quello che è il senso moderno del prog. Perché se invece guardiamo a quello che potevano dire ai tempi formazioni come Crimson Glory e Queensrÿche, allora le analogie non sono difficili da trovare.
Solo nei primi Nevermore e in alcuni ricami particolarmente cupi di “Dreaming Neon Black”, forse, possiamo rilevare motivi come quelli di “Eden Lies Obscured” o di “Epitaph”; cadenze lente e ammorbanti, una specie di afflato funereo strisciante, che si muove un po’ sommesso, un po’ incalzante, tra fraseggi metallici incandescenti e soliste di grande forza espressiva. I pezzi vivono di molte rotture, progressioni moderate e rallentamenti bruschi e poco lineari, in preda ai ‘capricci’ vocali di un Dane che, salutato lo screaming di “Refuge Denied”, inizia a plasmare il suo leggendario, umorale, stile vocale. “Into The Mirror Black” si configura come uno di quegli ibridi poco inquadrabili dei quali la storia del metal è piena, che fanno della loro relativa decifrabilità e della concretezza i loro cavalli di battaglia.
Perché se i Sanctuary del secondo album non sono né esplicitamente classic metal, né thrash, né power o prog, la quasi titletrack “The Mirror Black”, col suo carico di epicità appena accennata, arie avvolgenti, teatralizzazione del dolore e sussurri onirici, difficilmente può lasciare indifferenti. Dane tira le fila, modella la musica, la guida, la sconvolge, senza sfasciare una tela che fa interagire un chitarrismo scuro e nettissimo, al livello dei migliori Metallica di quei tempi, con un rigore ritmico di eccellente fattura. La qualità delle composizioni permane costante, dalla prima all’ultima nota, mettendo in fila piccoli classici che, singolarmente, meriterebbero di essere riscoperti e ammirati in tutto il loro valore. Tipo “Seasons Of Destruction”, sfuriata thrash che poco per volta prende una piega corale, si bagna di eroismo, arriva addosso con una forza falcidiante, una schiettezza di intenti che non mostra alcun calcolo, non necessita di interpretazioni: c’è solo da farsi travolgere. Quello di “Into The Mirror Black” è, per farla breve, l’heavy metal al suo apice, quando diventa veicolo di emozioni e pensieri forti, magari contorti e di non facile lettura, che si sfogano in note egualmente vorticose, tuonanti, eppure complesse, deliziose, in bilico tra urgenza e introversione. Un classico da riprendere in mano e riascoltare, da godere senza troppi pensieri. Con un pensiero a tutto quanto di buono Warrel Dane ci ha lasciato e la speranza che, seppure in una formazione diversa, il nome Sanctuary possa ancora farci sognare.

 

TRACKLIST

  1. Future Tense
  2. Taste Revenge
  3. Long Since Dark
  4. Epitaph 0
  5. Eden Lies Obscured
  6. The Mirror Black
  7. Seasons of Destruction
  8. One More Murder
  9. Communion
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