7.5
- Band: SAOR
- Durata: 00:58:52
- Disponibile dal: 07/02/2025
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Da sempre, la musica dei Saor è strettamente legata al patrimonio culturale e storico dal quale il suo protagonista attinge a piene mani, e ciò ne rappresenta sia la forza che lo splendido limite. Andy Marshall, attraverso la sua creatura, ci guida da ormai dodici anni in un viaggio visionario attraverso pianure, valli e castelli abbandonati della Scozia e non solo, alla ricerca di un passato lontano e glorioso, e si è creato nel tempo un suono inconfondibile, non perché proponga un genere che suonano in pochi, quanto perché lo fa con una profondità che pochi si possono permettere: il black metal atmosferico ci ha abituato a inattese vette di bellezza ma, difficilmente, in questo ambito, la maestosità e la capacità dei Saor di dipingere paesaggi sonori sono state eguagliate.
Visto da questa prospettiva, il nuovo capitolo “Amidst The Ruins” non aggiunge molto ad un percorso che, al di là dei gusti personali e della preferenza per questo o quell’altro disco, è stato finora lineare, e va a confermare quanto di buono era stato fatto finora, non cambiandone gli ingredienti ma semplicemente amalgamandoli in maniera diversa.
I brani sono molto più lunghi, con uno solo al di sotto degli undici minuti di durata, ed in questo modo le sezioni strumentali, punto di forza della band, acquistano uno spazio ed una forza maggiori, con il fattore folk/celtico che spesso diventa preponderante rispetto a quella black metal, mentre manca quella componente puramente heavy metal che avevamo sottolineato in “Origins”; lo screaming di Marshall, che al contrario può essere visto come il tallone d’Achille degli scozzesi, viene sapientemente miscelato con cori e voci pulite, rendendo il contesto ancor più epico ed evocativo.
La produzione pulita, costante da diversi album a questa parte, valorizza la prestazione di ogni singolo strumento e, considerata la ricchezza di soluzioni, è una scelta decisamente azzeccata.
L’apertura è affidata alla title-track, un pezzo che suona Saor al 100%, sia dal punto di vista musicale – con il vento che disegna orizzonti distanti nel tempo, i riff, le cornamuse e le tastiere immediatamente riconoscibili – sia da quello tematico, in quello che è un inno alla resilienza, un ostinato rigetto della modernità che si conclude con un liberatorio “We will rise from the ashes!”.
“The Sylvan Embrace”, posta esattamente al centro del disco, è il pezzo più breve, ma si distingue per le atmosfere eteree accompagnate dal violoncello dell’ospite Jo Quail, un inno alla natura ed ai suoi poteri terapeutici, fatto di folk, delicati sussurri e melodie purificanti. La chiusura è affidata, invece, a “Rebirth” che, fiera e belligerante per i primi nove minuti, si trasforma poi in una sorta di tributo alle tradizioni scozzesi.
Pur non presentando sostanziali novità, “Amidst The Ruins” è un altro episodio riuscito, musicalmente ricco e stratificato, con un dosaggio accurato di black metal e folk e, soprattutto, è ancora una volta l’espressione dello spirito del suo autore.