7.0
- Band: SARGEIST
- Durata: 00:47:14
- Disponibile dal: 11/10/2018
- Etichetta:
- World Terror Committee
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In un’epoca di dibattiti, controversie e argomentazioni su ciò che dovrebbe rappresentare o meno il black metal, ci pensano i Sargeist a ribadire con fermezza le regole del genere e a spedirci tutti all’Inferno. Sono trascorsi quattro anni dall’uscita di “Feeding the Crawling Shadows”, disco che all’epoca divise non poco il pubblico per via di scelte di produzione orientate al caos e al disordine più puri, quattro anni durante i quali il gruppo finnico è andato incontro a radicali cambiamenti di line-up; fuori tre quarti dei membri (inclusi Horns e Hoath Torog dei Behexen), dentro un pugno di musicisti più o meno noti nel circuito underground, con il mastermind Shatraug saldamente al timone del progetto e del tutto libero di imporre su di esso la propria visione musicale.
Rilasciato in concomitanza dell’ultimo tour europeo con Acrimonious e Chaos Invocation, “Unbound” giunge quindi come un fulmine a ciel sereno, senza alcun tipo di annuncio o battage pubblicitario da parte della World Terror Committee, e in poco meno di cinquanta minuti sembra volersi porre in un limbo equidistante dallo spirito primitivo del suddetto “Feeding…” e da quello più sfaccettato del capolavoro “Let the Devil In”, centrando un obiettivo che, pur non essendo sempre all’altezza delle precedenti prove della band, finisce ugualmente per attestarsi tra gli ascolti dovuti di questo 2018 black metal. Il fanatismo nell’interpretazione è tangibile, e passa attraverso uno screaming letteralmente sputato in faccia all’ascoltatore (cortesia di Profundus dei Desolate Shrine) e un guitar work imbevuto di gelo e melodie diaboliche, eppure non sempre tale fervore è sinonimo di un coinvolgimento pari a quello di ‘hit’ come “Empire of Suffering” o “Satanic Black Devotion”. Alcuni episodi sono infatti da ascrivere alla categoria del ‘more of the same’, privi sia di sbandate che di guizzi a livello compositivo, e questo aspetto si riflette anche sull’esperienza di ascolto, sensibilmente meno folgorante che in passato.
Poco male, comunque: l’attitudine satanica, la capacità di suonare 100% violenti e tradizionali senza per questo rinunciare ad un pizzico di orecchiabilità, sono rimasti pressoché intatti. Sentire brani come l’opener “Psychosis Incarnate”, “Wake of the Compassionate” o la conclusiva “Grail of the Pilgrim” per averne la prova.