6.5
- Band: SARKE
- Durata: 00:38:11
- Disponibile dal: 20/09/2013
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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Terzo lavoro per i norvegesi Sarke, progetto nato come one man band di Thomas Bergli (noto appunto come Sarke, già con Khold, Tulus e Old Man’s Child) che si è avvalso fin da subito della malsana ugola di Nocturno Culto (Darkthrone). Per “Aruagint”, solita miscela di black metal dalle vibrazioni retrò e dalle contaminazioni varie, i Sarke hanno completato la formazione con Steinar Gundersen (Satyricon, Spiral Architect), Anders Hunstad (El Caco, Autopulver) e Asgeir Mickelson (Spiral Architect, ex-Borknagar). Il risultato però, e lo diciamo subito, è inferiore alle attese. Ci saremmo aspettati infatti, alla luce di questi importanti innesti in formazione, un vento di novità in casa norvegese (cosa che in parte arriva e di seguito ne leggerete) quando invece i Nostri si sono limitati a svolgere il solito buon compitino. Nella parte iniziale del disco infatti i Sarke non propongono niente di nuovo, alternando la solita miscela di mid-tempo e up-tempo arrangiati con tastiere. Fra le canzoni che abbiamo scelto come migliori – che giovano tutte della registrazione in analogico e quindi di un suono più caldo – citiamo l’opener “Jaunt Of The Obsessed”, pesante nel suo lento incedere, la rapida “Ugly”, uptempo di due minuti con un bel riff carico di groove a spezzare il ritmo, e la più lenta “Strange Pungent Odyssey”. Belle le tastiere anche su “Salvation”, a creare un feeling molto black metal. Le cose migliori, quelle che rappresentano anche la novità del gruppo e che, chissà, potrebbero venire sviluppate in futuro, arrivano alla fine. Negli ultimi due episodi di “Aruagint” infatti, la sezione ritmica abbandona il minimalismo, specie a livello di batteria. “Icon Usurper” è quindi la traccia migliore del lotto, un brano cadenzato, tetro, il più lungo mai composto dai Sarke e pieno di diverse sfaccettature. Anche la conclusiva “Rabid Hunger” si caratterizza per il suo dinamismo strutturale e per alcune ambientazioni niente male, con un assolo di chitarra molto vecchio stile sul finale. In definitiva, dopo molti ascolti, proclamiamo “Aruagin” disco sicuramente valido, che allarga in parte lo spettro delle sonorità e che ripete quanto già di buono fatto in precedenza. Usato sicuro, insomma.