7.5
- Band: SATAN
- Durata: 00:44:22
- Disponibile dal: 13/09/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Sublime, non aggiungiamo altro! “Songs In Crimson”, il settimo spartito scritto dai Satan è sicuramente uno dei più riusciti tra quelli pubblicati in carriera, e non esageriamo nel dire che si pone subito dietro il celebre “Court In The Act” rilasciato ormai più di quarant’anni fa. E allora, in prossimità della nuova sessione scolastica, Brian Ross e compagni ci riportano in aula per regalarci l’ennesima lezione: una superba dispensa di NWOBHM dove gli Angel Witch incrociano gli strumenti con i Mercyful Fate, intavolando merce rara, puntuale, melodiosa e indiavolata.
Abbiamo menzionato due gruppi storici, addirittura epocali se pensiamo alla band di King Diamond: punti di riferimento che non devono comunque intaccare i meriti fondamentali del quintetto di Newcastle, simbolo assoluto di coerenza e stabilità d’intenti (ad esclusione del secondo album “Suspended Sentence”, la line-up è infatti rimasta la medesima degli esordi). I riff di Russ Tippins sono un qualcosa di identificabile, di riconoscibile, proprio per la loro minuziosa precisione e contemporanea imprevedibilità. Uno degli elementi simbolo del ‘Satan sound’, infatti, che lo rende unico rispetto agli gruppi, è quello di allontanare la ricerca della perfezione in favore di una creatività non sempre di così facile approccio, soprattutto nell’immediato ascolto.
Ed è ciò che è avvenuto con il qui presente “Songs In Crimson”. La tripletta iniziale, dalla decisa e stravagante “Frantic Zero” sino alla più oscura “Whore Of Babylon”, passando per l’ariosa “Era (The Day Will Come)”, ci rimbomba nelle orecchie come una creatura selvaggia, senza guinzaglio, creando dissonanze, lasciandoci quasi infastiditi di fronte a quella mancanza di linearità tra i dileggi chitarristici della coppia Tippins/Ramsey e la voce dello stesso Ross, autore ancora una volta di una prova più che convincente. Ecco perchè, quando parte “Sacramental Rites”, la sensazione di essere atterrati su un qualcosa di più accogliente ed orecchiabile, appare più evidente, quasi una sorta di liberazione.
In realtà, si tratta solamente di uno dei segmenti del labirinto sonoro costruito ad hoc dal gruppo britannico, che ci obbliga, proprio per la sua struttura serpentesca, a riprendere il discorso dall’inizio, dandoci la possibilità di rimetterci all’ascolto, entrando maggiormente in sintonia con l’estro espresso da Tippins e soci.
Un primo segmento del gomitolo inglese che si manifesta invece in pieno nella seconda parte del disco, in cui brani come “Martyrdom”, “Turn the Tide” e “Captives” rappresentano alla perfezione (questa volta la prendiamo per buona) la volontà dei Satan di tentare sempre una strada nuova, di provare, promuovendo il lavoro della mano umana rispetto a quella tecnologica.
Un concentrato di New Wave Of British Heavy Metal, a conferma di una band, non così proficua ma che, dopo la reunion del 2011, ha trovato, in contrasto rispetto a quanto scritto poca sopra, il famoso bandolo della matassa.