7.5
- Band: SATURNUS
- Durata: 00:59:20
- Disponibile dal: 16/06/2023
- Etichetta:
- Prophecy Productions
Spotify:
Apple Music:
Ci sono tempeste che durano un battito di ciglia, altre che infuriano senza tregua dentro e fuori da noi stessi: quella raccontata dai Saturnus nel nuovo “The Storm Within” mugghia tremebonda di funeral doom e melodie accorate, ed è lunga undici, dilatatissimi anni.
Tanto è infatti il tempo trascorso tra la pubblicazione del bellissimo “Saturn In Ascension” e questo nuovo capitolo (marchiato Prophecy, quasi ad hoc) che i danesi svelano agli occhi ed orecchie del panorama metal con quella sensibilità attenta (e quasi venata di timidezza) che da sempre li contraddistingue.
In undici anni il mondo è andato avanti, e il sestetto danese sceglie di raccontarne gli struggimenti e le pieghe inquiete come sa fare meglio: inondandoci i padiglioni auricolari e il cuore di riff dilatati, carichi di chiaroscuri emozionali, punteggiati qui e lì – come in “The Calling”, uno dei brani migliori del disco, con quell’andamento insieme catchy e accorato, o “Closing The Circle” – da stacchi ascendenti e epici certo non inediti, ma forse più evidenti grazie al lavoro dei due nuovi entrati alle sei corde, Indee Rehal-Sagoo (Clouds, Eye of Solitude) e Julio Fernandez (Autumnal), che avevamo già avuto modo di apprezzare in sede live lo scorso novembre.
Nell’oretta di durata ritroviamo la confortevole dimensione di ‘abitudine’ nell’ascoltare quanto ci aspettavamo, in una sorta di soffice, inquieta sicurezza che ci accompagna lungo tutto il disco: i Saturnus suonano esattamente come hanno sempre suonato da “Paradise Belongs To You” in poi, alternando momenti più preziosi e delicati (“Ever Tide”, con le tastiere del ‘figliol prodigo’ Filborne e il sovrapporsi di cori quasi sussurrati al ‘solito’ inconfondibile parlato di Thomas Akim Grønbæk Jensen) a mareggiate che dilagano pesanti, come la corposa title-track o “Breathe New Life”, dal gusto per un certo modo di intendere le melodie assolutamente novantiano, qui svecchiato e rinfrescato (si fa per dire) da una patina di tristezza funeral dal marchio oramai inconfondibile.
Tutto uguale, quindi, al resto della loro discografia? Non proprio: accanto alle nuove tempeste e temporali raccontati, metaforici e musicali, si fa strada una vena introspettiva e riflessiva, certo sempre presente ma qui ulteriormente in evidenza, a testimoniare una nuova consapevolezza di se stessi e dello scorrere del tempo. Questa nuova presa di coscienza sembra passare non tanto per una distensione di suoni o ulteriori rallentamenti, quanto, in maniera poco scontata, in un rinnovato gusto per alcune soluzioni melodiche o, come già detto, dai connotati più epici; bell’esempio di ciò è “Chasing Ghosts”, un altro dei capitoli migliori dell’album, che racchiude in sé tutti questi elementi sintetizzandoli in undici, intensi minuti di Saturnus-essenza, rincorrendo le asperità più quadrate della sezione ritmica (a cura dell’affiatatissimo duo Hansen/Glass e addomesticandoli con acute, dolenti note di chitarra.
Eppure, sulle note di “Truth” che svaniscono – in fondo, ogni tempesta prima o poi finisce – rimane una sorta di latente insoddisfazione di fondo: dopo trent’anni di carriera, quattro dischi, tour un po’ ovunque, e soprattutto dopo undici infiniti anni di attesa ci aspettavamo qualcosa in più, in termini di ispirazione, fluidità delle canzoni, fantasia compositiva. “The Storm Within” non è un brutto disco – e anzi, il voto in calce testimonia il nostro apprezzamento, nonostante avremmo voluto dare almeno mezzo punto in più – nè risulta noioso, o peggio ancora, svogliato; semplicemente, tranne quei momenti già citati, che ci sono davvero entrati nel cuore, il resto dell’album si lascia ascoltare e riascoltare, ma non ‘rimane’ attaccato come e quanto avremmo voluto.
Al di là delle considerazioni più strettamente personali, i Saturnus si sono ritagliati uno spazio ben preciso all’interno del funeral doom più melodico, e con questo nuovo lavoro dimostrano di volerci continuare a stare – seguendo magari bioritmi vagamente bradipici, ma d’altronde il genere non si basa certo su chissà quali attacchi fulminei. Un bentornato vagamente dolceamaro, speriamo stemperato dalla possibilità di vederli magari presto di nuovo su un palco.