5.0
- Band: SATYRICON
- Durata: 00:56:07
- Disponibile dal: 10/06/2022
- Etichetta:
- Napalm Records
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Come ormai noto anche al pubblico più generalista, in Norvegia il black metal ha da tempo travalicato i confini della musica underground, ottenendo lo status di patrimonio culturale del Paese. Un approccio a nostro parere illuminato e insieme doveroso sotto molti punti di vista; a partire dall’impatto che questa musica ha e continua ad avere sulla società norvegese, anche in termini di indotto turistico, ma anche per l’oggettivo valore a tutto tondo di molti dei musicisti coinvolti nella scena.
Satyr (con tutto il rispetto per il suo sodale Frost, ovviamente) è tra i primi nomi a meritare rispetto e considerazione, da buon prime mover della scena black metal anche quando si è trattato di trovare nuove, controverse e dirompenti strade – a bene vedere sempre con esiti apprezzabili, oltre ad essere un personaggio dalle molte sfaccettature; certo piacione e bravo a gestire la propria immagine pubblica, ma parliamo comunque di una persona che dedica altre consistenti porzioni del suo tempo alla produzione di vino di qualità e che non ha mai nascosto il suo interesse per la filosofia e le arti figurative. Arriviamo così al fulcro di questa recensione, e al legame assodato e profondo tra il nostro Wongraven e uno degli artisti più iconici di Norvegia (e del Novecento europeo), ossia Edvard Munch. Questo lavoro è stato commissionato direttamente dal prestigioso Munch Museum per una mostra (omonima) che sarà visitabile fino alla fine di agosto, il cui allestimento si presenta come un unicum esperienziale che permetterà di immergersi nel corpus artistico di Munch con particolare cura alle luci e, appunto, alla colonna sonora. Colonna sonora che è composta da un’unica ‘suite’ di circa un’ora di durata in cui i Satyr(icon) fondono struggenti arpeggi acustici, delicate orchestrazioni da camera, droni, pulsioni dark ambient, elettronica minimale. Tutto dignitosamente amalgamato, tutto sufficientemente “Satyricon”, tutto sicuramente adeguato a fare da sottofondo a un percorso percettivo emozionante.
Ma da una parte, con tutto il rispetto per il duo di Oslo, non parliamo certo di una composizione di Alva Noto (per citare un nome facile della commistione tra musica e arti visive), e dall’altra l’ascolto slegato dal contesto della mostra risulta impegnativo e noiosetto. Ci viene molto difficile consigliarlo, se non ai fan hardcore della band, o ai più entusiasti visitatori del Munch Musem, che potrebbero acquistarlo in cassa all’uscita, sull’onda dell’entusiasmo.