7.0
- Band: SAVAGE GRACE
- Durata: 00:52:49
- Disponibile dal: 05/05/2023
- Etichetta:
- Massacre Records
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Autentica band di culto per quanto riguarda l’heavy-speed metal ottantiano, i Savage Grace tornano ad oltre trent’anni di distanza dalla pubblicazione di due dischi che sono considerati fondamentali e autentiche colonne portanti del genere come “Master Of Disguise” del 1984 e “After The Fall From Grace” del 1986.
Il gruppo capitanato dal leader Christian Logue si è rimesso in pista con una formazione totalmente rinnovata per dar vita a “Sign Of The Cross”, lavoro composto da nove brani nuovi di zecca che cercano di mantenere lo spirito energico ed aggressivo sulla quale la band ha sempre costruito il proprio sound, anche se è presente qualche divagazione che sembra virare leggermente verso territori hard rock. I nuovi componenti riescono a dare un buon contributo, in particolare alla voce spicca subito l’impatto vocale di Gabriel Colon, con il suo approccio che molto ricorda il grande maestro Rob Halford e – di conseguenza – anche il bravo Ralf Scheepers (Primal Fear, tra gli altri).
Un altro elemento che attira subito l’attenzione è la produzione; sembra che la band abbia scelto di non seguire le mode del momento ma di mantenere dei suoni più retrò. All’interno di questo disco troviamo quindi sonorità che ci mantengono ancorati alla scena ed alle produzioni degli anni Ottanta con un suono più sporco e meno bombastico e appariscente, merito del lavoro dello stesso Christian Logue come produttore e di Roland Grapow ai suoi Grapow Studios per quanto riguarda mixing e mastering. E ciò, a nostro avviso, giova per la riuscita finale dei brani.
Infine le composizioni: c’erano ovviamente dubbi a riguardo, visto il tempo trascorso e la ruggine che tanti ritorni come questo si portano addosso, ma l’ispirazione è decisamente presente lungo una tracklist che mostra subito i muscoli con l’infuocata opener, la roboante “Barbarians At The Gate” che vola spinta da chitarre fumanti e dal cantato aggressivo del nuovo arrivato al microfono. La seguente “Automoton” è un pezzo grintoso, capace di esternare tutta l’energia che il gruppo americano dimostra di possedere ancora oggi dopo tutti questi anni. L’ascolto continua senza soste con l’andatura massiccia della title-track e, poco dopo, navigando sull’heavy dai riflessi powereggianti di “Rendezvous”, con Gabriel che mostra tutta la sua estensione vocale riportando alla mente proprio i Primal Fear di Scheepers.
Il tocco più melodico di “Stealin’ My Heart Away” negli anni Ottanta avrebbe fatto pensare al classico pezzo da far girare su MTV, ma è nei momenti più taglienti, come nell’affilata “Slave Of Desire”, e nelle atmosfere classicheggianti di “Star Crossed Lovers”, entrambe di chiara ispirazione Judas Priest (dell’era “The Killing Machine”, per intenderci), che il gruppo riesce a dare il meglio di sé.
Un disco che ovviamente non regge il passo dei suoi predecessori, e ciò era piuttosto prevedibile, ma al contempo un ritorno degno delle aspettative che la band si porta dietro: i Savage Grace riescono ancora a dare lezioni di metallo fumante!