5.0
- Band: SAVAGE MESSIAH
- Durata: 00:45:29
- Disponibile dal: 27/10/2017
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Un messia piatto, scialbo e con poche idee. Un messia che di selvaggio ha ormai solo il nome. Quella chiave thrash che, fino ad oggi, aveva dato un senso all’appellativo ‘savage’, andando così ad alternarsi al maggior tasso power che ha contraddistinto gli ultimi lavori del gruppo inglese, con il qui presente “Hands Of Fate”, è caduta definitivamente nel tombino, lasciando una minima goccia di rabbia sonora solamente in alcuni tratti dell’intero full-length. Non solo: pure i pezzi prettamente power stentano a volte, mostrando un appiattimento globale sia a livello musicale sia, soprattutto, dal punto di vista lirico. Una svolta definitiva? Un definitivo alleggerimento? Nessun problema, basta dirlo. E’ fuor di dubbio comunque che quella stessa band, che nel precedente “The Fateful Dark”, era stata accostata a potenze sonore quali Testament, in “Hands Of Fate”, sembra accostarsi a realtà mainstream in ambito hard rock. E allora, assodata la ‘dipartita’ thrash (rintracciabile in minima parte nel solo intermezzo di “Last Confession” e nella successiva “The Cruicible”) scopriamo cosa rimane impresso su queste mani segnate dal destino. Il primo indizio di un affievolimento generale lo abbiamo sin dall’opener, nonché title-track di questa quarta fatica. “Hands Of Fate”, infatti, pur presentandosi con un’intro tribale ed accattivante, si rivela a conti fatti come un brano solamente sufficiente. Roccioso al punto giusto ma che, dopo un minuto e mezzo dal suo inizio, ha già messo sul tavolo le proprie carte ‘vincenti’: strofa grintosa e refrain ultracantabile; così fino alla fine, assoli compresi. Una formula che verrà copia-incollata alla maggior parte dei pezzi a venire: un midtempo granitico in preparazione del ritornello più sostenuto ed orecchiabile (vedasi “Wings And Prayer”). E se in “Blood Red Road” – brano migliore di altri – veniamo colpiti da un nostalgico richiamo alle roboanti note di “Men, Martians And Machines” di ‘gammarayana’ memoria, con “Lay Down Your Arms” i toni si appesantiscono leggermente facendo eco ai Metallica del “Black Album”, non riuscendo comunque a convincere appieno. Una staticità compostiva che ritorna in “Solar Corona”, brano che, a causa di un songwriting a dir poco debole, sembra non finire mai. Qualcosa sembra accendersi in “Eat Your Heart On”, se non altro per un coinvolgimento maggiore degli strumenti, ma con “Fearless” ci assestiamo nuovamente di fronte al classico pezzo sostenuto che tuttavia non lascia dietro di sé strascichi emozionali degni di nota. E se, come anticipato qualche riga fa, gli ultimi sprazzi di thrash si rivedono soprattutto all’interno della semiballad “Last Confession”, tocca ad “Out Of Time” chiudere senza grossi scalpori un album che farà storcere il naso a più di un fan della prima ora. Chiudere con il passato ci può stare, depositare l’ascia di guerra chiamata thrash anche, ma se si vuole impugnare la spada del power più granitico e roccioso, bisogna azzeccare il guanto giusto o quanto meno esserne pienamente convinti.