9.0
- Band: SAVATAGE
- Durata: 00:52:33
- Disponibile dal: 22/09/1995
- Etichetta:
- Atlantic Records
- Distributore: Warner Bros
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All’indomani della strana, ma comprensibile, gestazione solitaria di “Handful Of Rain” Jon Oliva, convinto anche dal buon risultato del tour di supporto, decide di dare nuovamente una fisionomia da vera band al progetto Savatage, ritornando così ad una canonica formazione a cinque. Della partita sono il solito Middleton al basso e i riconfermati Plate e Stevens, rispettivamente alla batteria e alla voce. Nel discusso ruolo di chitarrista troviamo invece la vecchia conoscenza Chris Caffery, che divide l’onere di tappare il buco lasciato da Criss Oliva con un’altro axeman di nome Al Pitrelli, fortemente voluto dalla Atlantic più che dalla band stessa. Con questa nuova configurazione i Savatage riescono a regalarci un imprevisto nuovo colpo di coda, confermando lo stile più ragionato ed elegante degli ultimi album, e accendendolo nuovamente col fuoco della genialità che ai tempi fece letteralmente esplodere “Streets”. Lo stato di grazia della band è incredibile: anche se non si raggiungono le incredibili emozioni del già citato concept del 1991, mai si erano visti i Savatage in possesso di un sound così pieno, così ricco di sfumature e di fascino. L’album, nuovamente un concept, narra le traversie di due innamorati appartenenti a fazioni in lotta, lui serbo e lei di fede musulmana, le cui drammatiche vicende si intersecano sullo sfondo della terribile guerra dei Balcani dei primi Anni ’90. La stupenda “Ouverture” apre la narrazione con un inno sinfonico ormai consolidato e presenta un crescendo fin dal principio emozionante, che esplode (nel vero senso della parola) sul grandioso finale, col cupo suono di un bombardamento. Timidamente, il pianoforte di Jon si introduce nei nostri padiglioni auricolari, formando una delicata base per l’ingresso di Zachary Stevens, impegnato su tonalità basse e meditative. Ancora una volta i synth creano un crescendo, che dirompe infine nell’assolo iniziale di “This Is The Time (1990)”, trai pezzi più belli dell’album. Ritornelli travolgenti e squarci chitarristici di gran pregio si rincorrono qui per quasi sei minuti, facendoci poi piombare ignari nelle tenebre di “I Am”, canzone che vede il ritorno ai microfoni di Jon dopo quattro anni di assenza. La cattiveria del pezzo viene mantenuta nella successiva “Starlight”, che ci presenta uno Stevens quanto mai fisico nella prestazione, e addirittura raddoppiata nella frenetica “Doesn’t Matter Anyway”, ancora marcata dalla sporca vocalità di Jon. Un lato incredibilmente dolce affiora invece nella toccante “This Isn’t What We Meant” ma è solo l’introduzione ai momenti più belli dei disco. Un musicista senzatetto scende in strada durante un bombardamento ed omaggia il compositore Salisburghese nel bellissimo strumentale “Mozart & Madness”, e subito dopo una chitarra splendida ci ripropone con un’eleganza infinita la revisione dell’”Inno Alla Gioia” di Beethoven nella corta “Memory”. La title-track irrompe con la virulenza di alcuni pezzi da “Handful Of Rain”, lasciandoci ancora una volta ammirati per come la band riesca sempre a giocare con sensazioni e umori diversi. “One Child” è un capolavoro dei Savatage ‘ultimo periodo’, con i bellissimi controcori alla “Chance” che ancora echeggiano nelle orecchie allorchè ci si appresta ad ascoltare la più tranquilla “Christmas Eve (Sarajevo 12/24)”. La dolcezza toccante di “Not What You See” chiude col botto un altro disco perfetto, con una grande interpretazione di Stevens su un testo tra i più emozionanti mai sentiti: la classica ciliegina sulla torta che tutti vorrebbero mangiare. Come sempre, i Savatage colpiscono con maggior forza proprio quando i fan non sanno più cosa aspettarsi…