7.0
- Band: SAXON
- Durata: 00:42:24
- Disponibile dal: 19/01/2024
- Etichetta:
- Silver Lining
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L’eterna lotta tra il bene e il male: questo è il punto focale affrontato dai Saxon nel loro nuovo album, il numero ventiquattro, all’interno di una carriera in procinto di spegnere le onorabilissime cinquanta candeline.
“Hell, Fire and Damnation”: così si intitola il disco, sviscerato in una prima analisi nel nostro track-by-track, nel quale, oltre alla consueta dose di denim and leather, e d’obbligo segnalare anche un’importante novità in sede di line-up, già preannunciata nel marzo dello scorso anno, ma che ha poi preso la forma più nitida e chiara nei mesi a venire. Lo storico chitarrista Paul Quinn, dopo aver gettato la spugna per quanto riguarda gli impegni live, ha deciso di abbandonare anche lo studio di registrazione, lasciando a Brian Tatler dei Diamond Head il compito di accompagnare Doug Scarrett nello scandagliare i canonici riff, da sempre marchio di fabbrica del gruppo inglese; una partenza significativa che ha comunque lasciato un biglietto d’addio in un paio di occasioni (“Fire And Steel” e “Super Charger”).
Come suona quindi “Hell, Fire and Damnation”? Abbiamo avuto l’occasione di riascoltarlo più volte e l’impressione rimane quella di un buon album, che non aggiunge nulla (e nemmeno toglie, sia chiaro) a quanto ci si potrebbe attendere da un lavoro targato Saxon 2024.
Leggermente meno ispirato rispetto al precedente “Carpe Diem”, troviamo pezzi ‘ordinari’ – vedi “Witches Of Salem” e la conclusiva “Super Charger” – ed altri certamente più esaltanti come “Kubla Khan and the Merchant of Venice” o “Madame Guillottine”, in loop da qualche settimana, la quale non avrebbe alcun problema nell’essere inserita tra le hit di un programma radiofonico dalle sfumature heavy. Entrambi i brani, crediamo, troveranno spazio nei prossimi eventi dal vivo (magari già il prossimo 6 aprile nella data italiana in accompagno ai Judas Priest, chi lo sa).
Tra gli episodi gradevoli piazziamo anche la title-track, pur con qualche riserva in sede di refrain (francamente ce lo aspettavamo più grintoso) e la sempre ben accetta “Fire And Steel”, dove i leoni britannici spingono sull’acceleratore come ai vecchi tempi.
Ad ogni modo, una cosa appare evidente e magnificamente unica lungo tutte le dieci tracce: la voce di Biff. Il capobanda dello Yorkshire ha confermato ancora una volta di aver trovato il timbro ideale (non che prima non lo avesse, ma ultimamente sembra davvero in una fase aurea) per garantire una prestazione convincente e corposa, tanto su disco quanto su palco, come dimostrato anche nelle ultime apparizioni on stage. Un dato non di poco conto, considerando anche l’età del ‘vecchio’ Byford, ormai vicino a festeggiare i personalissimi settantatré anni (il prossimo 15 gennaio).
Cos’altro aggiungere ad un lavoro che, in definitiva, innalza nuovamente i nostri tra i simboli eterni della NWOBHM: poco importa che abbiano avuto meno successo dei Maiden; la fedeltà alla causa metal è in buone mani. Lunga vita ai Saxon: the eagle has landed… again!