6.5
- Band: SCAR OF THE SUN
- Durata: 00:52:39
- Disponibile dal: 05/20/2016
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Dici Grecia e non puoi non pensare ad extreme metal occulto, a vera devozione underground o, più ordinariamente, a realtà ormai storiche e dal suono altamente peculiare come Rotting Christ e Septicflesh. Gli Scar Of The Sun, tuttavia, rappresentano un volto diverso della vitale e longeva scena ellenica: la proposta di questo gruppo di Atene è armoniosa e orecchiabile, lontana da formule particolarmente violente, fondata nel complesso su un gothic metal di seconda generazione e su una sorta di melodic death metal all’acqua di rose. Sin dai primi ascolti è chiara la volontà dei ragazzi di celebrare uno stile molto in voga nei tardi Anni ’90/primi Duemila e una formazione da sempre molto popolare in Grecia, ovvero i Paradise Lost. I toni dei brani sono effervescenti e i molteplici interventi di tastiera e sample – assieme all’ammiccante voce del cantante/tastierista Terry Nikas – rappresentano un costante invito a canticchiare. Complice anche una produzione rifinita da Rhys Fulber (Paradise Lost, Fear Factory, Machine Head), durante la fruizione viene spesso alla mente un album come “Symbol Of Life”, opera a suo tempo uscita in sordina, ma che evidentemente sta venendo rivalutata a distanza di anni. La band di Nick Holmes nei suoi momenti più piacioni è senza dubbio il primo punto di riferimento per gli Scar Of The Sun; subito dopo vanno però menzionati Soilwork e Dark Tranquillity, realtà dallo stile più “muscoloso”, ma che da tempo fanno scuola in sede di arrangiamenti tastieristici e tentazioni electro. Brani come “An Ill-Fated Wonder”, “Enemies of Reason” o la cover di “Walking In My Shoes” dei Depeche Mode riescono a cogliere l’atmosfera della scena gothic metal di una quindicina di anni fa, ma non tutte le canzoni di “In Flood” ci riescono. A causa di ritornelli non esattamente indimenticabili, certi episodi diventano a lungo andare un po’ anonimi e inadatti per incendiare i dancefloor; altri invece – l’uptempo “Versus the World” o la ballad della title track – possiedono delle caratteristiche differenti che ben esprimono una varietà del suono e dei ritmi, restando però sempre su arie non molto coinvolgenti. “In Flood” insomma non offre nulla di inaspettato, limitandosi a riassumere influenze e dedizione di una band sì professionale, ma non ancora ispiratissima o completamente matura. In ogni caso, qualche bel brano c’è e i nostalgici di questo tipo di suono probabilmente finiranno per apprezzare l’operato dei Nostri anche nei suoi momenti meno incisivi.