SCENES – Call Us At The Number You Provide!

Pubblicato il 17/03/2005 da
voto
6.5
  • Band: SCENES
  • Durata: 00:55:20
  • Disponibile dal: 21/03/2005
  • Etichetta:
  • Escapi
  • Distributore: Self

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Gli Scenes non sono proprio gli ultimi arrivati. Esistono infatti dal 1995, anche se allora erano in forma embrionale (solo due chitarristi). Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata, ed il gruppo tedesco ha acquisito la giusta padronanza tecnico-compositiva necessaria per sfornare album almeno decenti. “Call Us At The Number We Provide” è il loro secondo lavoro ufficiale, ed è un album di puro progressive metal in perfetto stile Dream Theater, con qualche tocco di power-prog tipicamente teutonico. L’album parte alla grande con l’opener “So (Father)”, per chi scrive miglior pezzo del disco, con quelle sue ritmiche serrate ed iper-prodotte, quei tempi incalzanti e cadenzati che ricordano gli ultimi lavori dei prog-metaller svedesi Evergrey, ed un testo finalmente intelligente. La produzione perfetta dei Subzero Studios è veramente l’arma vincente di un album che ha bisogno di un impatto frontale di primo livello. Passiamo alla successiva traccia “You Walk Away” che, purtroppo, parte leggermente in sordina, per poi riscattarsi fortunatamente nel ritornello, dove si avverte fortemente l’impronta del prog power teutonico. Fortissimi echi dei Dream Theater (periodo “Images And Words”) si sentono in “My Own Life”, dove la sezione ritmica e le chitarre, sempre graffianti alla grande, la fanno da padrone. Arriviamo a “Start Again”, il pezzo più lungo del lotto. Ancora Dream Theater al primo posto delle influenze e continui cambi d’atmosfera sono le caratteristiche del pezzo. Il secondo assolo di chitarra appare forse troppo logorroico, bello invece lo stacco chitarra/piano stile flamenco, che ci ha ricordato alcuni analoghi momenti dei grandi Spock’s Beard, e ricco di pathos il finale dove, in un crescendo di strumenti e di dinamiche, il gruppo esegue una variazione sul tema della toccata e fuga di Bach. Particolare è la song “Deep Inside My Heart”, dominata dalla voce e dal piano, che con le sue melodie particolari ci ha ricordato gli episodi pianistici di Neal Morse (Spock’s Beard/Transatlantic). La successiva “I Will Stay” ci riporta sui territori più consoni agli Scenes, ovvero il progressive metal, potente e diretto quando serve. Il riff iniziale è un pugno allo stomaco, e la sensazione di sopraffazione aumenta là dove il singer Andy inizia la strofa della canzone. Per dovere di cronaca, bisogna segnalare che questa canzone vede la partecipazione alle backing vocals del singer degli Angel Dust, Dirk Turisch, anche se al sottoscritto è risultato impossibile percepire anche solo in quale punto sia intervenuto, a causa di un mixaggio forse troppo basso di tale intervento. “Save The Light” è forse il pezzo meno riuscito dell’album, causa un eccessivo indugio sulle partiture dispari, anche sul ritornello, che risulta di difficile comprensione e forse un po’ troppo fine a se stesso, mentre bruttina è la cover dei Talk Talk “Such A Shame”, a conti fatti una traccia tranquillamente evitabile, forse la peggiore dell’album. Chiude questo secondo full-length degli Scenes la lunga “Nothing Left To Say (Unforgiven)”, che con le sue ritmiche e le sue melodie ci riporta alla mente quel capolavoro che fu “Awake” dei già citati Theater, ed il cui chorus non è dei migliori pur rimanendo comunque nella sufficienza. Dopo una fuga strumentale di pregevole fattura il pezzo, forse dilatato oltre misura, arriva alla sua conclusione, e con esso si chiude anche l’album. Alla fine, la prima constatazione che vien da fare è che il lavoro è sicuramente sopra la media, anche se forse manca quel pezzo che possa veramente far gridare al miracolo. Attenderemo il prossimo capitolo della band, sicuri che questo 6,5 si potrà tranquillamente trasformare in qualcosa di più qualificante. Per i prog-maniac.

TRACKLIST

  1. So (Father)
  2. Yo uWalk Away
  3. My Own Life
  4. Start Again
  5. Deep Inside My Heart
  6. I Will Stay
  7. Save The Light
  8. Such A Shame
  9. Nothing Left To Say
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