7.0
- Band: SCOTT KELLY
- Durata: 00:41:24
- Disponibile dal: 14/08/2012
- Etichetta:
- My Proud Mountain
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Anche nel minimalismo e nell’essenzialità più totale c’è spazio per l’evoluzione e la diversificazione stilistica e creativa. Ce lo insegna il chitarrista dei Neurosis e Shrinebuilder Scott Kelly, che con “The Forgiven Ghost In Me” (stavolta presentatoci sotto il moniker di Scott Kelly And The Road Home, vista la partecipazione al progetto dell’altro Neurosis Noah Landis e di Greg Dale) arriva al terzo album solista, mostrando un salto stilistico notevole e un evidente tentativo di non ripetersi inutilmente. Il rischio era quello di perdersi in una stringa di folk album tutti uguali fra loro, e di diluire dunque il suo lavoro solista, ma Kelly non è certo uno che si trova a suo agio nel ripetersi artisticamente – basta guardare la parabola inspiegabile dei Neurosis – e anche in questo suo micromondo fatto di minimalismo ed essenzialità è riuscito altresì a cambiar rotta e a proporci un prodotto scandito dalla ricerca musicale e da una istintualità innegabile. La chitarra acustica è come sempre il baricentro del lavoro, come lo sono le sue ormai famosissime voci raspose e un po’ strozzate, ma balza subito alle orecchie, fin dall’ascolto della title track, che in questo lavoro è presente un corollario di suoni e umori tutti nuovi. Si fanno vivi nel mondo musicale di Kelly la steel guitar, il moog, le tastiere e vari overdub di chitarra e voce che rendono il lavoro molto più profonodo e sfaccettato, dal taglio quasi ambient e psichedelico. “We Let The Hell Come” per esempio fa sprofondare il lavoro solista di Kelly nell’esistenzialismo più totale grazie a delle atmosfere stregate e crepuscolari che ricordano non poco i fasti gothic-folk dei Wovenhand. Invece, “Within It Blood” e “The Field That Surrounds Me” (quest’ultima coadiuvata dai suoi vecchi compari Jason Roeder e Josh Graham) rievoca vecchi spettri neurosisiani, presi in prestito soprattutto dalle liquefazioni apocalyptic folk e dark ambient di “A Sun That Never Sets” e, in una certa misura, anche dall’estetica post-psichedelica degli Amber Asylum e dei Current 93. In generale, il lavoro, pur non liberandosi affatto dal suo immancabile humus acustico fatto di folk, musica roots e “americana”, mostra parecchie sfaccettatuture stilistiche ed emotive, e, forse per la prima volta, presenta tutte le personalità musicali di Kelly racchiuse in un solo posto, seppur in maniera scarna, essenziale e molto riassuntiva. Ennesimo spasmo creativo non essenziale, ma qualitativamente validissimo, di un musicista ormai leggendario.