
7.5
- Band: SCOTT WALKER , SUNN O)))
- Durata: 48:32
- Disponibile dal: 20/10/2014
- Etichetta:
- 4AD
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Scott Walker e Sunn O))). In realtà sembrava piuttosto naturale: Steven O’Malley e Greg Anderson con il drone di sottofondo e la voce teatrale di mastro Walker che svetta, era nell’aria già da “Monoliths And Dimensions”. Scott O))). Non sembrava così difficile da immaginare, dopotutto. Eppure c’è anche chi ha pensato che una collaborazione come questa potesse essere ferma al mero accoppiamento casuale (fino ad arrivare alla trovata commerciale) per mancanza di idee, forse coloro i quali erano rimasti ai Walker Brothers, o forse perché non tutti i fanatici di due realtà vogliono che esse si fondano necessariamente. Probabile anche che le ormai innumerevoli collaborazioni da parte di O’Malley e Anderson possano ormai ridursi a mere giochi o vezzi sperimentali. Indubbio che entrambe le realtà vengano da due uscite piuttosto recenti, “Terrestrial” e “Bish Bosch”, tant’è che la preoccupazione da parte del popolo che si nutre di underground è stata senza ombra di dubbio piuttosto forte. Senza dubbio e senza torti. E così il giudizio d’ascolto non può che essere assolutamente difficoltoso e scivoloso, fatto sta che il “Lulu” del metal underground ha visto la luce proprio in questo ultimo scorcio di Duemilaquattordici. Ha visto la luce, per modo di dire, perché l’oscurità presente in “Soused” non lascia trapelare nemmeno un briciolo di bagliore celeste, sembrando essere partorita dalla mente di Mefistofele e dagli angeli maledetti che lasciano il loro feedback onnipresente sulla scia di una sua profezia baritona e dannata. Una profezia oscura che appare come l’obbligato proseguimento di “Bish Bosch”, configurandosi come un punto consequenziale nella carriera del cantautore anglo-americano classe 1943 e come esperimento ulteriore per entrambe le realtà che prestano nome a questo “Soused”. Pochi possono negare la presenza poetica e teatrale dietro il volto dell’ex-popstar da chart inglese e poster nelle camerette, convertitosi alla “selva oscura” della musica d’avanguardia, così come pochi possono negare l’importanza di opere come i due “White” del gruppo originario di Seattle. “Soused” è il trait d’union di mondi che collidono, per necessità, naturalezza o semplice contingenza. “Brando” parte subito con la voce di Walker, direttamente da una dimensione teatrale di qualche mondo oscuro mentre l’idiosincratico, maledetto, marcescente contrappunto rumoristico alla recita di Walker tocca a O’Malley-Anderson-Nieuwenhuizen. Un inizio in medias res che trasporta in un’atmosfera lynchiana, quasi come se il mistery man di “Lost Highway” ci stesse dando indicazioni su come proseguire per trovare una via d’uscita a questo incipit dantesco. Indicazioni criptiche, ovviamente, così come sono le liriche di Walker, tra il simbolismo mistico e il realismo magico più conteporaneo. E poi le scudisciate della frusta che seguono immancabilmente i dettami del sacerdote; Peter Walsh è un altro degli elementi essenziali, un collante che tiene insieme questo monolitico impasse senza via d’uscita. Lo straniamento conseguente si acuisce con il video di Gisèle Vienne, che dona al rumore anche delle immagini a metà tra Von Trier e David Lynch, non rendendo nulla più chiaro, anzi deformando ancora di più quello che la prima traccia di “Soused” propone. La seconda traccia mostra la sacralità pagana, mistica, esoterica del cantautore e il riverbero da cattedrale dei Sunn O))) si offre come oscuro basamento marcescente per le aperture vocali di Walker, in una lettura biblica estremamente allucinata e vagheggiante, latina, barocca, che sembra ricordare i vecchi fasti di “Tilt” e “The Drift”, dal quale sentiamo provenire l’eco soprattutto in “Bull” e “Fetish”, quasi senza interruzioni, come se fossero tutte insieme in un grande calderone indistinto di rumori e liriche. L’irrompere prepotente della batteria e di un synth che ricorda il migliore industrial degli Einsturzende Neubauten… e poi il nulla. “”There is/ No nothing/ else”. E ancora l’eterno ritorno, droni, feedback, synth, profezie. Piuttosto che il lavoro di collaborazione con gli Ulver, che non aveva brillato particolarmente per nessun particolare risultato, qui siamo più vicini ad un qualcosa che spinge in direzione di una delle due realtà, quella di Walker, sicuramente preponderante, quasi a sancire il suo status di poeta-Übermensch. E questo potrebbe risultare difficile da digerire per alcuni. Ma Sunn O))) si sentono, sono onnipresenti eppure nascosti in un chiaroscuro, come una fischio nelle orecchie prima di addormentarsi. Torna alla mente il grande matrimonio di Neurosis e Jarboe a livello ideologico, torna alla mente quanto una collaborazione possa fruttare a livello artistico ma anche quanti esempi in questo senso possano essere stati fallimentari. “Lullaby”, quasi naturalmente, chiude il disco. Quello che si doveva dire è stato detto e ci si ritrova spiazzati. “The most intimate/ personal choices/ and requests/ central to your/ personal dignity/ will be sung.” dice Walker. “Soused” lascia inevitabilmente spaesati per un giudizio e per una cognizione che sia definitiva e universale. Forse il suo senso – in caso si voglia cercare di definire qualcosa – è proprio la sua presentazione: una miscela di nero, di rumore e di visioni, che comprende il tutto e il niente. Minimale. Ricco. Profondo eppure uno degli episodi più diretti e accessibili di entrambe le realtà d’avanguardia. Un disco difficile da apprezzare completamente e da promuovere completamente. Un disco da cogliere empaticamente per poter godere della sua perdizione e della sua visionarietà in cui ad ogni ascolto si potrebbe trovare qualcosa di nuovo, che potrebbe entusiasmare come annoiare. Un disco per cui bisognerebbe abbandonare alcuni pregiudizi: sui Sunn O))), su Scott Walker, sulla musica tout court. Un disco per cui un voto vale poco.