7.5
- Band: SCOUR
- Durata: 00:37:31
- Disponibile dal: 21/02/2025
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Dopo dieci di anni di attività, evidentemente gli Scour non sono solo un passatempo, per il buon Phil Anselmo; proprio a conferma di ciò, dopo tre apprezzati EP, è tempo di dimostrare appieno di che pasta è fatta la band con il primo full-length: ecco quindi che arriva “Gold”, un titolo scelto probabilmente a sottolineare il percorso evolutivo, in una sorta di processo alchemico – dato che i precedenti album viravano al grigio, rosso e nero.
Si entra subito nel vivo con “Serve”, adrenalinica e oscura come un’anima malata: un brano che fa pensare a un improbabile ma gustoso incrocio tra i Darkthrone di “Sardonic Wrath” e il grindcore. Nessuno stupore, ovviamente, visto che sono tutte sonorità che Anselmo & co. amano apertamente; ma colpisce la freschezza con cui tante ‘citazioni’ trovino posto nei solchi di questo disco senza mai suonare banali.
Il metronomo non scende praticamente mai, e questo segna una netta sterzata rispetto all’occasionale presenza di midtempo che caratterizzava le precedenti uscite; e si riducono molto i richiami al fronte death, se non nel ricorso – decisamente ridimensionato – al growl; parliamo comunque di intermezzi che non stonano, e che fanno pensare più ai Necrophagia del vecchio amico (di Phil) Killjoy (“Devil”, ma vale anche per alcuni brevi stop-and-go che punteggiano il disco).
Giusto soffermarci un po’ di più sulla cattiveria vocale, perché se appunto nelle uscite precedenti si aveva spesso la sensazione che ci fosse impegno e versatilità, ma con un timbro ‘Anselmo che fa growl’ costante, qui la voce di Phil è spesso trasfigurata e lo scream funziona a meraviglia.
Musicalmente, la sezione ritmica dei fratelli Jarvis resta da levata di scudi, mentre sul fronte delle sei corde riff aperti si alternano a pura furia, continuando in quel solco costante che si rifà in particolare alla scuola svedese, compresa una certa marzialità à la Marduk che non guasta mai (“Coin”, su cui si segnala un assolo di gran gusto melodico), dimostrando come Engemann e Kloeppel siano una coppia di chitarre veramente di alto livello.
Non di sola violenza vive il (black) metallaro, e così non mancano momenti decisamente evocativi (“Infusorium”, con echi dei Cattle Decapitation, altra band “madre” degli Scour, oppure “Gold”); e funziona benissimo anche la curiosa scelta di inserire tre brevi brani che, tra rumorismi, effetti sonori e pianoforti sghembi, evocano colonne sonore da film horror: ci piace immaginarli proiettati all’ormai defunto Housecore Festival, che lo stesso Anselmo curava in passato.
Proprio uno di essi, “Angels”, fa calare il sipario su un ascolto di assoluta soddisfazione; non è un disco che cambierà le sorti del black metal, ma ben lungi dal trasmettere la sensazione di un gioco fine a se stesso, coglie nel segno e dona una mezz’ora abbondante di depravazione e classe. La trasmutazione alchemica è riuscita proprio bene.