7.0
- Band: SECRET SPHERE
- Durata: 00:43:11
- Disponibile dal: 22/09/2010
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Dopo lo scivolone firmato “Heart & Anger”, i Secret Sphere sono tornati su livelli di spessore grazie al positivo “Sweet Blood Theory”, e non sorprende dunque constatare nel nuovo “Archetype” una naturale prosecuzione del discorso intrapreso col disco precedente, a sua volta incentrato sulle sonorità power progressive degli esordi. Al di là del taglio moderno che si respira in talune composizioni, infatti, la struttura delle canzoni lascia trasparire la volontà dei Secret Sphere di scrivere canzoni incentrate su ritornelli immediati, corali e impostati sulle alte tonalità ben interpretate dalla sirena Ramon Messina e sulle ritmiche in doppia cassa, senza trascurare la struttura più heavy o progressiva delle strofe o degli stacchi. L’ottima titletrack è il perfetto esempio di quanto detto sopra, caratterizzata dal riffing thrashy della strofa in grado di creare un piacevole contrasto con l’imponente melodia del ritornello. Il nuovo entrato Gabriele Ciaccia alle tastiere sembra perfettamente integrato, come dimostra il determinante lavoro svolto nel bellissimo mid tempo vagamente malinconico a titolo “The Scars That You Can’t See”, così come il chitarrista Marco Pastorino, insieme al leader storico Aldo Lo Nobile, si rende protagonista di un’ottima performance, là dove i due sono altresì responsabili dell’impronta maggiormente aggressiva del disco. Particolarmente ispirate appaiono anche le intuizioni melodiche di “More Than Myself”, “Future” e soprattutto “Mister Sin”, quest’ultima riconducibile al repertorio degli ultimi Helloween, mentre pezzi quali “Death From Above” e “In To The Void” risultano sotto la media, condizionati da linee vocali non sempre fluide. Nel complesso “Archetype” è un disco positivo qualitativamente in linea col predecessore, che ci regala qualche picco in più, ma allo stesso tempo anche i cali di tensione aumentano e soprattutto lascia l’amaro in bocca per una partenza con il freno a mano tirato: l’opener “Line Of Fire” presenta buoni spunti ed è impreziosita dall’inconsueto apporto vocale di Trevor (Sadist), ma il refrain principale scippato agli Hammerfall (“Hearts On Fire”), non si può proprio sentire.