7.5
- Band: SEETHER
- Durata: 00:46:26
- Disponibile dal: 12/05/2017
- Etichetta: Spinefarm
- Distributore: Universal
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Anche se dubitiamo qualcuno abbia segnato l’anniversario sul calendario – complice la relativamente esigua popolarità dei Seether a queste latitudini, al netto dei gossip legati alla turbolenta relazione del frontman con Amy Lee degli Evanescence -, sono ormai passati quindici anni da “Disclaimer”, album d’esordio rimasto ad oggi (insieme al suo omonimo seguito) apice costatato di una discografia arrivata nel frattempo al settimo sigillo. Trainata dal successo di “Broken” – e spinta in questa direzione, a detta dello stesso leader, dalle etichette discografiche e dal produttore di turno – la formazione sudafricana era per la verità scivolata, disco dopo disco, in un sound sempre più radio-friendly e lontano dai padri putativi del genere (Nirvana e Alice in Chains). Invertita la rotta già a partire dal precedente “Isolate And Medicate” (il cui titolo, col senno di poi, può essere letto proprio in quest’ottica), con questo “Poison The Parish” Shaun Morgan e soci tornano definitivamente alle radici del post-grunge, gestendo tutto internamente (dalla produzione alla pubblicazione), e rimettendo le chitarre al centro del villaggio. Certo, il riffing in stile Deftones ’95 dell’opener “Stoke The Fire” e di “Nothing Left” (non a caso scelti come singoli) rappresentano il classico specchietto per le allodole, ma anche i pezzi più alternative come “Betray And Degrade”, “Something Else” o “Lie You Down” suonano meno patinati e più genuini del solito, posizionandosi a metà strada tra le correnti grunge e nu-metal, che più di tutte hanno segnato gli anni ’90. Aggiungiamoci una rock-ballad (“Against the Wall”) che sembra scritta a quattro mani da Aaron Lewis e Mark Tremonti, un po’ di schitarrate nirvaniane (“Saviours” e “Count Me Out”, palesemente ispirate al Cobain di “Nevermind”) e, per i possessori dell’edizione limitata, una manciata di bonus track di buona fattura ed eccoci di fronte al miglior disco dei Seether da quindici anni a questa parte. Come già successo qualche anno fa con gli Staind, anche loro ammosciatisi dopo aver il botto di “It’s Been A While”, il settimo disco sembra essere quella della resurrezione: sperando nel futuro di Shaun Morgan non ci sia una carriera nel country (cosa che peraltro potrebbe riuscirgli abbastanza bene, a giudicare dal calore western di “Sell My Soul”), applaudiamo il ritorno dei Seether in questa nuova-vecchia veste.