4.0
- Band: SEPULTURA
- Durata: 00:51:44
- Disponibile dal: 26/05/2003
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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“Roorback”, il nono full-length album dei Sepultura, è con pochissimi dubbi il punto artistico più basso mai toccato dal combo brazileiro: spiace, spiace davvero dover parlar male di una band importante e storica come questa, un gruppo che, con sincerità, passione, rispetto e ferrea attitudine, ha dato moltissimo all’heavy metal, senza mai chiedere troppo in cambio. I quattro di Belo Horizonte hanno saputo mantenere negli anni una coerenza comportamentale, nonché un attaccamento ai propri valori, invidiabile; fino alla profonda scissione, il litigio, l’inizio della fine: l’abbandono di Max Cavalera. Da quel momento – ed è tristissimo a dirsi – Igor, Andreas e Paulo non sono stati più gli stessi: il meccanismo ingranava grazie alla solida unione di quattro menti in perfetta sintonia tra loro; e mai come durante l’ascolto di “Roorback”, quella sintonia si rivela solo una lontanissima e morta memoria, purtroppo. E dopo due dischi assolutamente non all’altezza quali “Against” e “Nation”, i Seps concedono addirittura il tris, commettendo inoltre gli stessi errori in cui già erano incappati in precedenza, senza riuscire a porvi alcun rimedio: produzione inspiegabilmente scarsa (ma è lo stesso Steve Evetts dei terremotanti dischi degli Snapcase ad occuparsene?) e vocalist imbarazzante. Un suono ovattato, ottuso, cupo ed opprimente limita le canzoni in modo traumatico e Derrick Green, questo gigante nero la cui semplice ombra incute timore, al terzo tentativo non riesce ancora a trovare la giusta tonalità su cui esprimersi, confuso tra un debole screaming ed un cantato aggressivo à la Chuck Billy dei poveri, incapace di regalare un briciolo d’emozione. Alcuni pezzi, in una tracklist non troppo diversa da quanto ascoltato nelle due precedenti release, sono anche sufficienti, c’è qualche idea interessante, “Come Back Alive”, “Apes Of God”, “Mind War” e qualche altro paio di veloci scariche hardcore sono decenti (sia chiaro, nulla che ricordi brani compressi ma devastanti come “Dictatorshit” o “Biotech Is Godzilla”), ma da Andreas Kisser ed Igor Cavalera sarebbe lecito aspettarsi molto, ma molto di più! La band, grazie a questo pessimo lavoro, sembra proprio avvalorare l’ipotesi di chi considera i Soulfly di Max Cavalera – fra l’altro in procinto di pubblicare due ottimi album quali “Prophecy” (2004) e soprattutto “Dark Ages” (2005) – la vera prosecuzione dei veri Sepultura, del resto scesi ad un livello così infimo da far sperare nello scioglimento in tempi brevi. Sappiamo tutti che lo split-up invece non avverrà e, anzi, al risveglio da un così brutto incubo, ciò che verrà dopo potrà solo essere migliore…