6.5
- Band: SEPULTURA
- Durata: 02:10:00
- Disponibile dal: /12/2005
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Universal
Non poteva certo mancare, fra le gustose ristampe deluxe della Roadrunner, edite in occasione dei festeggiamenti per il 25° anniversario della nascita dell’etichetta, quella di “Roots” dei Sepultura, per antonomasia il disco “di rottura” del quartetto carioca, l’album che ha allontanato di molto la band dal metal estremo classico e l’ha fatta entrare di prepotenza in ciò che solamente con il nome di metal moderno si può definire. Moderno e sperimentale, ovvio. Son passati quasi dieci anni, ormai, da quel lontano 1996, quando “Roots Bloody Roots”, probabilmente, assieme a “Territory”, il brano più anthemico e famoso dei Sepultura, fece irruzione nel metal-biz e lo sconvolse alquanto, ridefinendo coordinate stilistiche e metodi di registrazione, risultando all’avanguardia, pur essendo, nelle sue primitive fondamenta, un pezzo rozzo e “da quattro soldi”. Non fu scevro da critiche, a dire il vero, il modo in cui “Roots” venne accolto dal pubblico e dalla stampa all’epoca: chi diceva che Max e compagni si stavano spingendo troppo oltre, chi promulgava la tesi di un semi-plagio al debutto dei Korn (ed in effetti, come lo stesso curatissimo booklet di questa ristampa conferma, il leader dei Seps si innamorò totalmente del suono claustrofobico e down-tuned che il producer Ross Robinson diede all’omonimo disco dei seminali nu-metaller), chi non amava le sperimentazioni percussive, i filtri vocali e quant’altro di bizzarro è udibile sul capolavoro del four-piece nativo di Belo Horizonte. Ma bando alle ciance, comunque, e spazziamo via ogni dubbio: a distanza di dieci anni, “Roots” resta l’album di maggior successo dei Sepultura e, soprattutto, rimane un disco strepitoso, dotato di un groove e di una cattiveria invidiabili da qualsiasi formazione, imperniato sulla profonda ricerca di quattro brasileiros nel profondo delle loro radici, come confermano le esaustive testimonianze riportate nel libretto di questa ristampa, ricco di informazioni e curiosità inerenti vari aspetti del making of del platter: dalle pazze registrazioni agli Indigo Ranch Studios con un invasato Ross Robinson, al più pacato mixing di Andy Wallace, alla magica esperienza dei tre giorni trascorsi con la tribù indigena degli Xavantes, nel Mato Grosso. In questa sede, però, oltre ad incensare il packaging della ristampa ed il disco originale stesso (curioso riascoltare con attenzione, fra l’altro, dopo anni che non lo si faceva, la cosiddetta “Canyon Jam”, insieme di suoni, rumori e percussioni registrati da microfoni sparsi giù per un canyon ai piedi degli Indigo Studios), si vuole analizzare soprattutto la sequela di bonus-track presenti nel secondo CD…e qui, purtroppo bisogna dirlo, non c’è gran che di cui esaltarsi: di realmente inedito, infatti, non vi è molto…due remix piuttosto inutili di “Roots Bloody Roots”, uno ballabile e l’altro dai toni reggae, una bella versione di “Mine”, brano vibrante e schizoide composto in compagnia di Mike Patton (ex Faith No More, Mr. Bungle, Fantomas), e due tracce ripescate da un demo registrato dal vivo, una cover dei Ratos De Porao ed un brano strumentale (bellino per la verità!) intitolato “Untitled”. Spiccano poi le cover di “Procreation (Of The Wicked)” dei Celtic Frost e di “War” di Bob Marley, però, tutto sommato, il contenuto bonus non è troppo avvincente, fattore che ci fa assegnare a questa ristampa solo un magro 6,5. Non stiamo neanche a dirvi che il valore effettivo del disco originale è ben maggiore e se non avete ancora “Roots” in tutto il suo splendore, questa è l’occasione giusta per farlo finalmente vostro. L’ultimo, vero passo di una band una volta superlativa. Attitude is respect!!