8.0
- Band: SEPULTURA
- Durata: 00:58:53
- Disponibile dal: 12/03/1996
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Edel
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Capire il significato, il perché ed il percome di un disco quale “Roots” equivale un po’ a capire tutta la filosofia di vita e l’attitudine di base che risiedeva dietro e soprattutto dentro i Sepultura; dove per Sepultura si intende ovviamente il nucleo vero e genuino della formazione, con Max alla guida e Igor, Andreas e Paulo a cementare la ferrea unione. Inutile ricordare ulteriormente come, in seguito ad una separazione traumatica quanto poche altre nella Storia della Musica, il gruppo, negli anni a venire, non sia mai più stato lo stesso, se non un freddo guscio orfano d’anima. Ma per capire la genesi di “Roots” e della sua unicità non bisogna correre troppo avanti, anzi…basterebbe in vero considerare l’evoluzione fino allora compiuta dai quattro brazileiros, accoppiandola poi al particolare momento che la scena metal stava vivendo in quegli anni, appena uscita dall’epoca grunge ed in procinto di entrare in quella nu: risale al 1995, infatti, il debutto omonimo di una band americana, tali Korn, che a dir poco sconvolge e contamina l’aspetto più sperimentale, disturbato e groovy dei Sepultura, identificabile più che altro nella volontà del maggiore dei Cavalera di scrivere un disco epocale e fuori dai canoni standard. D’altro canto, le sempre più marcate influenze tribali e percussive dei Sepultura, in lento crescendo fin dai tempi di “Beneath The Remains”, diventano sempre più pressanti e bisognose di sfogo e così, in un impeto di nazionalità e attaccatura alle proprie origini, Max e compagni decidono addirittura di andare a comporre e registrare parte di “Roots” presso la tribù indigena degli Xavante, in pieno Mato Grosso, Brasile. La fusione del ritrovato e viscerale amore per le proprie radici e la propria terra con la fortissima attrazione verso i suoni e le ritmiche di primi Korn e primi Deftones dà vita all’album in questione, sicuramente uno dei punti di rottura della carriera dei Seps. I fan, difatti, sono nettamente divisi dal marcato accento sperimentale che la release va a prendere, progettato da un Ross Robinson – produttore dei Korn, guarda caso – che spreme, insulta, litiga e mena addirittura i musicisti durante le recording session, cavandone fuori un suono straniante, ribassatissimo e disturbato, carico di distorsioni, urla, voci filtrate e groove malato, che non può far altro che generare, nella Sepultribe più ortodossa, un malumore inevitabile. Molte le collaborazioni presenti in “Roots”, così come i brani rimasti scolpiti nella Storia (anche grazie a videoclip davvero ben realizzati): fra le prime, d’obbligo ricordare quella del noto percussionista brasiliano Carlinhos Brown in diverse tracce e chiaramente le guest vocals di Mike Patton dei Faith No More e Jonathan Davis dei Korn in “Lookaway”, pezzo completamente schizoide e fra l’altro co-scritto da DJ Lethal degli allora sconosciuti (e bravi) Limp Bizkit; fra i secondi, invece, c’è solo l’imbarazzo della scelta: “Roots Bloody Roots”, “Ratamahatta”, “Cut-Throat”, “Dusted”, “Born Stubborn”, “Dictatorshit”, “Endangered Species”, “Straighthate”…canzoni che denotano tutte una selvaggia e verace volontà distruttiva, sebbene portata alla ribalta con metodologie diverse rispetto al passato. E che dire, infine, di “Attitude”, brano che forse più di ogni altro rappresenta questi Sepultura? Il lato spirituale della band ed in primis di Max, nonostante questo lavoro sia assolutamente violento e aggressivo, inizia ad affiorare in superficie e “Itsàri”, la song interamente tribale suonata assieme agli Xavante nella loro riserva, ne è chiaro esempio: dopo “Kaiowas” su “Chaos A.D.”, un’altra dimostrazione di spessore e coraggio per una formazione che mai come in “Roots” ha saputo spingersi su sentieri inesplorati ed impervi. In definitiva, certi di non aver parlato abbastanza di un album che nel 1996 fece davvero scalpore, senza poi accennare all’effetto retro-attivo che ebbe su chi ancora non conosceva Korn e Deftones, possiamo concludere questa disamina dicendovi solo che, a prescindere dal tipo di musica che si ascolti o si suoni, quando questa viene direttamente dalle budella e sprigiona dosi di rabbia in tali quantità, se non la si riesce ad apprezzare, la si deve almeno per forza rispettare.
“You better show some respect. Attitude and respect”.