6.5
- Band: SEPULTURA
- Durata: 00:47:09
- Disponibile dal: 23/10/2013
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Non è semplice rapportarsi ad un nuovo disco dei Sepultura, come quest’ultimo dall’interminabile titolo, perché è praticamente impossibile scrollarsi di dosso i ricordi, e le impressioni, del periodo “glorioso” che – giocoforza – ne influenzano la valutazione. Nostro compito sarà quindi rimanere ancorati alla realtà e impegnarci a prendere il gruppo per come è oggi, intendendolo come un essere per forza di cose differente, specie dall’abbandono di Igor Cavalera in poi. Il presente lavoro segue – nel bene e nel male – la scia degli ultimi, con un aspetto a risaltare: sembra porsi come rilettura delle prime fasi della carriera dei nostri, dal momento che l’ascolto rivela un disco organizzato in due sezioni. La prima è affine alla fase “Beneath The Remains”-“Arise”-“Chaos A.D.”, assiemando cinque brani di virulento thrash-death metal, ora più spinti (“Trauma Of War”, tra gli episodi meglio riusciti) ora più concentrati sul groove (“Impending Doom”); la seconda, invece, è più orientata verso il periodo “Roots”-“Against”-“Nation” e mette in mostra “The Age Of The Atheist”, già in giro per la rete, e “Grief”, onirica e sperimentale, episodio in qualche modo coraggioso. Un aspetto positivo di tale duplicità sta nel fatto che, per quanto le anime del disco siano differenti, non c’è una vera e propria frattura e viene mantenuta una sufficiente organicità, potendosi trovare elementi della prima tranche nella seconda e viceversa (se, ad esempio, “Obsessed” – non esaltante – mostra un’ossatura decisamente thrash death, una “Tsunami”, sull’onda di un riff salterino, si lascia scappare qualche timido elemento percussivo tribale). Altro segno “revivalistico” si individua nella costruzione del sound, affidata a Ross Robinson (già al lavoro su “Roots”), che ha prodotto risultati positivi, come positiva è anche la prova del nuovo (giovanissimo) batterista Eloy Casagrande, il quale mostra la giusta “stoffa” senza strafare, adempiendo diligentemente alla bisogna; stessa cosa può dirsi di Derrick Green: a voi stabilire se apprezzate o meno il suo stile vocale. Putroppo nemmeno questa volta sono mancati i passaggi a vuoto: non si tratta di gravissime pecche compositive, perché ad ogni modo si tratta di gente dalla grande esperienza, che sa come scrivere una canzone, quanto di pecche nell’ispirazione: abbiamo avuto la percezione di qualche composizione mandata troppo evidentemente “in automatico”, come “The Vatican” (che starebbe meglio su un qualche lato B), oppure di qualche forma d’autocompiacente prolissità, come in “Manipulation Of Tragedy” o “The Bliss Of Ignorants” (nonostante durino entrambe poco più di quattro minuti, siamo convinti che dicano tutto in tre scarsi…). In buona sostanza, se avete gradito i lavori precedenti questo non dovrebbe deludervi, diversamente continuate a passare oltre.
PS: segnaliamo che l’ultima canzone, “Da Lama Ao Caos”, è una cover di Chico Science & Nação Zumbi.